È un quadro particolarmente deprimente, quello tratteggiato sulla pena di morte nel mondo dal Rapporto 2024 di Amnesty International. Per almeno tre ordini di ragioni. Perché il numero di “omicidi di Stato” dell’anno scorso è stato il più alto da quasi dieci anni a questa parte. Perché la pena capitale è sempre più uno strumento di brutale repressione politica, travestito malamente da amministrazione della giustizia. E perché gli Stati Uniti, che si propongono come faro di democrazia e diritti, sono praticamente l’unico Paese liberale a dar lavoro ai boia, in una pessima compagnia di Stati canaglia, dittature, democrature e regimi jihadisti.
Certo, a volerle cercare le tendenze positive ci sono. Gli stati abolizionisti – 112 quelli de iure, altri 32 de facto, in tutto 144 – sono quasi il triplo dei 55 che la mantengono. E sono stati “solo” 16 nel 2023 i Paesi che la pena capitale l’hanno usata. Segnali che parlano di una crescita, lenta ma inarrestabile, del movimento di pensiero che vuole buttare fuori dalla storia la morte, decisa e inflitta a mente fredda in nome di una malintesa e malvagia giustizia.
Ma la ristretta squadra dei Paesi che ammazza in nome della legge non si rassegna. E prosegue imperterrita. La maglia nera, come il cappuccio dei boia d’una volta, nel 2023 se l’è conquistata l’Iran degli ayatollah. Un regime feroce che ha usato la violenza, nelle prigioni e nelle piazze, per reprimere brutalmente il dissenso del suo popolo. Quello sceso nelle strade gridando “Donna, vita e libertà” dopo la morte di Mahsa Amini, la giovane arrestata per una ciocca di capelli che usciva dal velo islamico. Di fatto un’esecuzione extragiudiziale, come altre centinaia comminate durante e dopo le manifestazioni, quando sulla folla si sparano proiettili veri e i manifestanti vengono massacrati di botte sulle camionette o nelle celle. Morti che poi non rientrano tra le 853 esecuzioni portate a termine tramite impiccagione, con un tragico aumento del 74% rispetto al 2022.
A seguire si piazza l’Arabia Saudita, dove è da tempo in corso una grande operazione di “rights-washing”, con eventi sportivi accaparrati a colpi di petroldollari per mettere in ombra le violazioni sistematiche dei diritti umani e della parità di genere. Le 172 decapitazioni dell’anno scorso parlano più degli stadi progettati da “archistar” e delle dirette in mondovisione. Nella lista dell’orrore dei Paesi che hanno usato il patibolo ci sono poi Afghanistan, Bangladesh, Cina (che segreta i numeri delle esecuzioni, probabilmente a tre zeri), Corea del Nord, Egitto, Iraq, Kuwait, Palestina, Singapore, Siria, Somalia, Vietnam, Yemen.
E gli Stati Uniti d’America. Nel 2023 negli Usa i giudici hanno fatto ammazzare 24 esseri umani tramite iniezione letale. Anche se ora, vista la difficoltà a reperire i farmaci necessari per esecuzioni vietate anche dall’associazione dei veterinari americani, stanno adottando il soffocamento per azoto, per una morte ancora più lenta. L’ostinazione americana a mantenere la pena di morte risulta difficile da comprendere per chi sa che è una pratica non solo disumana, ma inutile e dannosa.
Nessuno studio è riuscito finora a dimostrare che lo spauracchio della pena capitale riesca a funzionare come deterrente per ridurre il crimine. Anche solo perché la maggior parte degli omicidi si verifica in stati di alterazione, chimica o psichica. Ed è altrettanto chiaro che uno Stato che legittima la possibilità di togliere la vita a un suo cittadino, nei fatti legittima l’omicidio, considerandolo e presentandolo come una pratica ipotizzabile, se non addirittura moralmente ammissibile.