Un mondo senza armi nucleari. È questo l’estremo traguardo indicato a Londra dal presidente statunitense Barack Obama e da quello russo, Dmitri Medvedev. Un traguardo al limite dell’utopia, ma che segnala una volontà di mutamento in chiave distensiva delle relazioni tra grandi Paesi, in linea con quanto ipotizzato da Obama durante la sua campagna elettorale. Utopia magari, e ispirata non soltanto da intenti umanitari ( gli arsenali atomici di Usa ed ex Urss sono stracolmi; il loro mantenimento e lo sviluppo di armi strategiche hanno costi insopportabili in tempi di crisi economica; un accordo al ribasso fra grandi potenze può costringere le piccole verso lo zero atomico...), ma che ha avvolto di un’aura di nobiltà la dichiarazione con la quale i due presidenti hanno convenuto di lanciare negoziati in vista non soltanto di importanti riduzioni delle proprie armi nucleari, ma anche di una inedita cooperazione nel campo delle difese antimissile. A quest’ultimo riguardo « restano differenze » su nuovi sistemi in Europa, ma si sa che alla Casa Bianca sono già molte le critiche al costo politico ed economico del progettato « scudo » da realizzare fra Polonia e Repubblica ceca. Comunque, qualcosa si è mosso nella giusta direzione, dopo quasi sette anni di disinteresse al disarmo dell’amministrazione Bush: Stati Uniti e Russia si impegnano a stringere i tempi per l’approvazione di un trattato per la riduzione delle armi strategiche che sostituisca i precedenti Start ( in scadenza il prossimo 5 dicembre) e Sort ( che proponeva la riduzione, entro il 2012, delle testate nucleari da parte di ciascun contraente a un numero oscillante fra 1.700 e 2.200). L’impegno assunto dai due leader, decisi a « rimettere a posto » il rapporto bilaterale « considerate le responsabilità congiunte » che i loro Stati « hanno nel mondo » , è quello di fissare un tetto più basso al numero degli ordigni nucleari ( che attualmente sarebbero ancora oltre 3.000 a testa), dopo studi che saranno verificati in luglio, durante un summit Medvedev- Obama a Mosca, e trasformati in trattato entro la fine dell’anno. Dunque la Casa Bianca e il Cremlino hanno ripreso a dialogare, trovando un’intesa su punti importanti ( il citato nucleare, che prevede anche un’attenzione severa a Nord Corea e Iran; la stabilizzazione dell’Afghanistan), ma anche mantenendo divergenze e diffidenze ( sul citato « scudo » antimissile; sulle cause della guerra in Georgia e sulle sue conseguenze). Promettente appare anche il futuro dei rapporti sinoamericani: dopo l’incontro, sempre ieri, con il premier cinese Hu Jintao, Obama, invitato a visitare Pechino entro l’anno, ha ribadito il proprio impegno a evitare il protezionismo e ad assicurare relazioni economiche con la Cina stabili e durature. Carico di nubi è rimasto invece il rapporto con l’Unione europea. Durante una conferenza stampa assieme al premier britannico, Gordon Brown, il presidente statunitense, dopo aver invitato gli altri Paesi a fare fronte comune e ad agire con urgenza contro la crisi globale, ha detto di essere « assolutamente fiducioso che il G20 rifletterà un enorme consenso » . Il presidente francese Nicolas Sarkozy ( duramente avverso a ogni « falso compromesso » ) e il cancelliere tedesco Angela Merkel hanno replicato ricordando di non essere soddisfatti della bozza di documento redatta in vista dei lavori di oggi e di desiderare regole più severe per la finanza globale e, in particolare, contro i paradisi fiscali. Insomma, e rapporti Usa- Russia a parte, iersera a Londra tirava una brutta aria di decisioni mancate, e di rivio a incontri migliori. Sarkozy (avverso a ogni «falso compromesso») e Merkel non sono soddisfatti della bozza del G20.