mercoledì 13 novembre 2024
Le prove scientifiche presentano un panorama sempre più estremo ma l'opinione pubblica resta perlopiù indifferente, indispensabile la leadership di chi sa cosa sta accadendo e di chi decide
Uno degli spazi che ospitano a Baku la conferenza sui cambiamenti climatici

Uno degli spazi che ospitano a Baku la conferenza sui cambiamenti climatici - Fotogramma

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Quando papa Francesco ripete che «non viviamo un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’epoca» ha ragione non soltanto dal punto di vista religioso ma anche scientifico. Pochi sanno che dopo migliaia di anni in cui abbiamo vissuto in un’era geologica denominata Olocene, dove l’uomo ha potuto svilupparsi e prosperare, da pochi decenni siamo entrati in una nuova era, l’Antropocene, in cui la vita del pianeta è largamente condizionata dalle attività umane con conseguenze catastrofiche. Fino al 2019 non c’era stato momento migliore per l’umanità: tutti gli indicatori (analfabetismo, povertà estrema, durata e qualità della vita...) erano in netto miglioramento dappertutto. Tutto questo era però dovuto a un ipersfruttamento del Pianeta, le cui risorse (acque, suolo, aria...) sono state saccheggiate in modo brutale. Basti pensare che negli ultimi 10 anni abbiamo consumato la stessa quantità di risorse dell’intero ventesimo secolo. La conseguenza più grave del comportamento umano è stata però l’immissione incontrollata di miliardi di tonnellate di anidride carbonica nell’aria, con l’aumento della temperatura di 1,2 gradi centigradi dopo che per migliaia di anni era rimasta sostanzialmente stabile.

Dagli anni ’60 gli scienziati hanno cominciato ad avvertire dei rischi del riscaldamento climatico per la salute del pianeta e, conseguentemente, per i suoi abitanti (uomini, animali e piante), totalmente ignorati. Solo nel 2015, con il Trattato di Parigi, le autorità politiche hanno deciso di muoversi per limitare l’aumento della temperatura terrestre nel 2050 a non più di 1,5 gradi rispetto all’epoca preindustriale, migliorare la resilienza e l’adattamento all’impatto climatico e allineare i flussi finanziari nel mondo a questi obiettivi. Il problema è che queste prescrizioni sono state completamente ignorate dai governi mondiali, e siamo quindi arrivati agli ultimi due anni, i più terribili nella storia dell’evoluzione della vita sul nostro pianeta. Nel 2023 le speranze erano tutte sulla Cop 28, la Conferenza delle Parti (tutti i governi del mondo) riunite a Dubai. A perorare la causa dell’azione si recò negli Emirati Arabi Uniti il documentarista e naturalista sir David Attenborough, che lanciò un drammatico appello: «Oggi siamo pericolosamente vicini a punti di non ritorno che una volta superati faranno salire catastroficamente le temperature globali. Se continuiamo sul nostro percorso attuale, affronteremo il crollo di tutto ciò che ci dà sicurezza. Produzione alimentare, accesso all'acqua dolce, temperatura ambientale abitabile e catene alimentari sostenibili. E se il mondo naturale non supporterà più i nostri bisogni più basilari, allora gran parte del resto della civiltà crollerà rapidamente. Non sottovalutatelo. Il cambiamento climatico è la più grande minaccia alla sicurezza che gli esseri umani moderni abbiano mai affrontato».

Anche questo appello fu ignorato e, dopo il fallimento della Conferenza, gli scienziati climatici si affrettarono a dire che il 2023 sarebbe stato identificato dai posteri come lo spartiacque tra l’autoconservazione e la rinuncia a salvarsi. I loro due ultimi rapporti sul clima confermano questa agghiacciante previsione. In quello del 2023 hanno infatti ratificato il raggiungimento di 1,5° gradi con ben 27 anni di anticipo rispetto al 2050 e hanno sintetizzato questo traguardo con queste parole: «Abbiamo paura, siamo scioccati dalla ferocia degli eventi meteorologici estremi del 2023 (...) il mondo sta ora subendo cambiamenti a una velocità mai vista prima nell'esistenza umana. Tale instabilità significa che in questo secolo ben 6 miliardi dei quasi 8 miliardi di persone della Terra potrebbero ritrovarsi in regioni che non sono più abitabili a causa degli impatti climatici come il caldo estremo e la diminuzione delle scorte alimentari. (...) La Terra è oggi più calda di quanto lo sia stata negli ultimi 100.000 anni. Siamo su una traiettoria verso livelli di riscaldamento senza precedenti nella storia dell’umanità. Un mondo in cui nessun essere umano ha mai vissuto». Se ciò non fosse stato abbastanza – e va rilevato che la copertura di un rapporto così rilevante è stata irrisoria – a impressionare è arrivato pochi giorni fa l’aggiornamento sulla base dei dati 2024, di cui riporto alcuni punti.

Gli scienziati ci dicono che siamo sull'orlo di un disastro climatico irreversibile e che gran parte del tessuto stesso della vita sulla Terra è in pericolo. Non stiamo riuscendo a evitare gravi impatti, e ora «possiamo solo sperare di limitare l'entità del danno». Osservano infatti che ormai la sfida è quella di non superare i 2,7° gradi di aumento della temperatura entro il 2100, avvertendoci che andare già sopra i 2 gradi comporterà gravi problemi quali la necessità di abbandonare le isole Maldive, Marshalls e Tuvalu che verranno sommerse così come una miriade di altre piccole isole, la perdita della quasi totalità delle barriere coralline, lo scioglimento di gran parte del ghiaccio artico, un grande aumento degli eventi climatici estremi e della diffusione di malattie infettive, un grande aumento della mortalità – in particolare quella da ondate di calore –, un importante aumento delle alluvioni e sommersione di molte aree costiere, un significativo impatto sulla pesca, una diminuzione dei raccolti e della produttività agricola, soprattutto a livello tropicale e subtropicale.

In sostanza, dopo aver per molti anni lanciato l'allarme sui pericoli imminenti del cambiamento climatico e aver correttamente previsto il riscaldamento globale prima ancora che fosse osservato, i più grandi scienziati del mondo ci stanno dicendo che non sarà più possibile tornare indietro, che siamo in territori inesplorati e che l’unica cosa che possiamo fare è quella di mitigare gli effetti della crisi climatica per evitare danni peggiori. Come se non bastasse, pochi giorni dopo è stato pubblicato l’aggiornamento del rapporto Wwf sulle popolazioni animali del Pianeta, con la notifica del loro declino del 75% rispetto a 50 anni fa, con punte del 95% in alcune regioni dove ormai non c’è più fauna selvatica ma esclusivamente uomini e allevamenti. La sparizione dell’80% degli insetti e del 60% dei vertebrati configura la crisi attuale non solo come catastrofica dal punto di vista climatico ma anche, per il collasso della biodiversità, come una vera e propria estinzione di massa che per ora interessa gli animali ma che prima o poi potrebbe riguardare anche l’umanità.

Ci si sarebbe aspettato che di fronte a questi documenti scientifici e a queste drammatiche considerazioni altri scienziati, dirigenti industriali, leader politici, media e la popolazione generale si sarebbero scossi. E invece il silenzio è stato assordante, e nonostante questi avvertimenti ci stiamo ancora muovendo nella direzione sbagliata. La società contemporanea sembra guardare indietro e di fronte a queste sfide epocali preferire una distrazione di massa. Sarebbe dovere della politica sfuggire a questa logica e assumere una leadership con proposte concrete, peraltro rese fattibili dalle innovazioni tecnologiche, che sono sempre più dirompenti ed efficaci, soprattutto nel settore energetico. Ma questo non sta succedendo.

Ma non bisogna rassegnarsi. È dovere morale di noi scienziati e delle nostre istituzioni allertare chiaramente l'umanità di qualsiasi potenziale minaccia esistenziale e mostrare leadership nell'intraprendere azioni. Questo è il momento per fare una profonda differenza per la vita sulla Terra. Dobbiamo muoverci con coraggio e determinazione incrollabili per creare un'eredità di cambiamento che resista alla prova del tempo. In caso di inazione il futuro diventerebbe un luogo distopico, inospitale, persino inabitabile. Dobbiamo invece ancora immaginarlo come un ponte da pianificare e costruire, per noi e le future generazioni.

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