Cosa spinge davvero il Papa al G7
sabato 4 maggio 2024

La partecipazione di Papa Francesco al G7 è un evento carico di significato perché spinge un passo più in là il percorso inaugurato mezzo secolo fa, nel 1965, da Paolo VI, il primo pontefice a intervenire in un’assemblea generale dell’Onu. A cui sono seguiti gli interventi di Giovanni Paolo Il, Benedetto XXI e infine dello stesso Francesco. L’invito dice una cosa chiara: in un mondo carico di promesse, ma anche in preda a tante paure, la Chiesa Cattolica viene riconosciuta come voce autorevole che ha qualcosa da dire sulle questioni di interesse generale. La cattedra di Pietro è ascoltata come soggetto vocato a difendere i “beni comuni universali”: la pace, l’ambiente, la dignità della persona, la libertà religiosa. E ora, in relazione ai grandi cambiamenti che si annunciano con le applicazioni dell’intelligenza artificiale, gli sviluppi della tecnica. Beni di cui anche la politica si occupa. Ma che fatica a inquadrare, prima ancora che a promuovere. Non manca chi sospetta che la Santa Sede voglia “fare politica”. Ma non si tratta di questo.
In realtà, l’invito rivolto a Francesco ha a che fare con i dubbi e le difficoltà che oggi la stessa politica riconosce di avere nell’affrontare i grandi nodi del nostro tempo. Inediti per scala e complessità.

Non senza qualche sorpresa, si vanno così delineando le condizioni per una riedizione – su basi del tutto nuove – di quel dialogo tra i “due soli” della politica e della religione. Come li chiamava Dante. Un’articolazione mai risolta nei tempi antichi e ancora tutta da costruire oggi. Ma quanto mai preziosa per aiutare a trovare la via del futuro. Nel mondo in cui viviamo, il punto di vista religioso può aiutare la politica – e con essa l’economia e la scienza – a realizzare quella fioritura dell’umanità a cui tutti, a parole, dicono di aspirare. Senza farsi rinchiudere nella logica indispensabile ma angusta degli interessi materiali o delle visioni di parte.

Per la Chiesa essere premiata da un tale riconoscimento comporta una grande responsabilità. Da declinare in una duplice direzione. La prima ha a che fare con la qualità della sua presenza nel mondo. È rimasta impressa nella memoria collettiva l’espressione di Paolo VI che definì la Chiesa “maestra di umanità”. Una qualificazione che può essere rivendicata da un’istituzione che, unica al mondo, può vantare due millenni di storia. È infatti proprio il patrimonio di sapienza e conoscenza accumulato nel tempo che permette alla Chiesa di dare profondità al suo sguardo sul mondo. Ma non basta far conto su una così nobile tradizione. È infatti la capacità di rinnovare la vicinanza all’umano nelle sue pieghe più profonde e dimenticate che può continuare ad autorizzare la Chiesa a parlare a un mondo sempre più avanzato. E che proprio per questo rischia sempre di perdere dimensioni essenziali dell’esperienza umana. Se vuole continuare a essere voce di chi non ha voce presso quei poteri che spesso se ne dimenticano, la Chiesa è chiamata a rinnovare la sua vicinanza all’esperienza degli uomini e delle donne del nostro tempo. Vincendo le paure e gli irrigidimenti che spesso bloccano il respiro dello Spirito.

Una seconda direzione riguarda la profilatura che le religioni possono prendere nel mondo che si sta costruendo. Da una parte, proprio mentre viene riconosciuta nella sua autorevolezza, la Chiesa cattolica è chiamata ad allargare le braccia alle altre religioni, camminando con loro alla ricerca del senso profondo dell’esistenza umana. Viatico per raggiungere l’obiettivo, ancora lontano, della libertà religiosa. Al punto in cui siamo arrivati, il dialogo interreligioso è un orizzonte da cui non si può prescindere. Dall’altra, il riconoscimento di cui oggi la Santa Sede gode è un presupposto per confermare e rafforzare una chiara separazione tra il piano politico e quello religioso. Nel rispetto delle rispettive sfere che concorrono, da punti di vista diversi, alla piena fioritura dell’umano. È questo un passaggio obbligato per arrivare a realizzare un giorno una vera convivenza pacifica su scala planetaria. E per rendere feconda, nel groviglio delle società globale, la presenza della fede religiosa nelle sue diverse manifestazioni.

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