L'approvazione alla Camera della mozione per una moratoria internazionale dell’aborto inteso come strumento di controllo demografico appare, nel quadro ristretto e spesso provinciale della politica italiana, come un raro momento di più ampio respiro politico. L’Italia promuoverà presso le Nazioni Unite una risoluzione che condanni l’aborto obbligato: quello massicciamente utilizzato nel Terzo mondo per controllare le nascite, quello selettivo che in Cina, in India e altrove cancella milioni di figlie femmine.È l’aborto "costretto" dunque, l’aborto "imposto" alle donne povere da brutali politiche di pianificazione demografica, nell’obiettivo della mozione del Parlamento. Si è cercata una sorta di minimo comune denominatore etico. Perché, come ha sintetizzato Rocco Buttiglione, su questi temi ci si continua a dividere fra chi è per la vita e chi è per la libera scelta delle donne; ed "è ora invece di combattere insieme chi nel mondo è sia contro la vita, che contro la libertà delle donne". Il principio insomma - la stessa mozione sarà portata al Parlamento europeo - di una battaglia contro una poderosa ingiustizia che si compie ogni giorno in tutti i continenti, nel silenzio distratto o impotente o connivente del consesso internazionale. Si sa perfettamente, da anni, delle politiche demografiche in Cina. Si sa che in larga parte dell’Asia l’avvento – con un ritardo di trent’anni sull’Occidente – delle ecografie prenatali ha fatto scaturire una nuova spietata selezione dei nascituri: se è femmina, spesso la bambina viene abortita. Si sa anche che questo provocherà fra vent’anni squilibri seri nella composizione demografica di quei paesi: mancheranno le donne, e non è immaginabile cosa questa mancanza a sua volta genererà.A fronte di una questione di queste proporzioni prevale tuttavia a livello internazionale il silenzio. Nell’ansia del controllo delle nascite perseguito da molti dei grandi organismi internazionali, l’aborto imposto appare quasi, senza che si osi dirlo apertamente, come l’inevitabile applicazione di una necessaria ragion di Stato. Il che è, evidentemente, intollerabile. Sul piano dell’umanità, della giustizia ma anche di quella libertà delle donne tanto sostenuta dai pro-choiche. Di qui la intuizione della mozione: trovare una minima comune intesa anche con gli abituali avversari sul tema. Difendere almeno un elementare principio: anche chi è a favore dell’aborto non può non essere contro l’aborto imposto, o la selezione dei nascituri. E l’operazione, alla Camera, è riuscita; anche se il voto favorevole avrebbe potuto, crediamo, essere più corale, e superare per una volta i consueti steccati. Era l’occasione per dire insieme, fra le mille parole non sempre essenziali del dibattito politico italiano, una cosa forte e chiara: l’aborto costretto, l’aborto selettivo, sono cose che non possiamo accettare. Sono le scelte indotte da uno "sviluppo" disumano, che ripugna a una società democratica. Sarebbe stato bello se fosse stata, quella da Montecitorio, per una volta una voce unanime, senza distinguo, senza sfilamenti ideologici. Ma tant’è: la mozione è comunque passata, andando ben oltre gli schieramenti. E proseguirà per la sua strada, sfidando il generale silenzio acquiescente nelle alte sfere della politica internazionale.Nel cortile angusto che appare spesso il dialogo in Parlamento, una boccata d’ossigeno, uno sguardo che guarda più lontano. La volontà e l’orgoglio di indicare, fra le ingiustizie, una delle più grandi e vere, anche se nessuna telecamera ce la mostra. La selezione e la cancellazione dei figli dei poveri, consumata nella distratta indifferenza dei paesi civili, dei ricchi - di quelli che si vantano, a casa loro, della "libera scelta" delle donne.