Non facciamoci ancora del male. Guardando agli ultimi sviluppi dell'infinita vicenda Alitalia viene da sperare che su tutto prevalga almeno il realismo, se non il buon senso. L'istinto di sopravvivenza abbia la meglio su una strana tendenza al masochismo, sul riemergere dell'idea del "tanto peggio tanto meglio" che una parte dei piloti, degli assistenti di volo e qualche esponente politico sembrano accarezzare. Sia chiaro: un sindacato è libero di non firmare un'intesa che ritiene sbagliata e pure di organizzare proteste per sostenere le proprie ragioni. Ha però anche il dovere della trasparenza, di spiegare le motivazioni alla base del contrasto. Dall'assemblea di piloti e assistenti di volo, tuttavia, l'altro ieri non sono emerse ragioni chiare né richieste precise, se non quella (impossibile) di riaprire la trattativa. Per ottenere che cosa? Prima i sindacati autonomi hanno gridato allo scandalo, paventando che nelle assunzioni le neo-mamme e i genitori di ragazzi disabili sarebbero stati esclusi. Ma l'accordo, nero su bianco, stabilisce tutt'altro. Si rafforza, allora, il sospetto che i motivi di contrasto reali stiano altrove: il taglio dei distacchi sindacali pagati e il numero di persone in cassa integrazione, superiore a quello previsto dall'offerta Air France, a suo tempo rigettata anche da piloti e hostess. Ancora, il nuovo inquadramento da dirigenti per i comandanti, che dà certo prestigio ma comporta anche la licenziabilità. Se invece le motivazioni sono ancora altre, sarebbe opportuno che Anpac, Up, Avia, Anpav e Sdl stilassero una vera piattaforma. Non chiedendo semplicemente di azzerare quanto già concordato con una parte maggioritaria dei sindacati. Altrimenti, la risposta negativa non può che essere scontata. Nell'assemblea di lunedì uno sprazzo di realismo si era avvertito quando il presidente dell'Anpac Berti ha detto di essere pronto a «sostenere un'azione pesante», lo sciopero, «quando sarò sicuro di non avere solo vittime».Ecco il punto: uno sciopero pesante, una "guerriglia" di microproteste non può che fare vittime innanzitutto tra gli stessi dipendenti, debilitare ancora un'Alitalia appesa al filo, penalizzare tutto il Paese. Perciò sarebbe importante fermarsi a riflettere, evitare di fare e di farsi del male. Il giudizio complessivo sull'operazione è ancora tutto da formulare. Sul piano finanziario occorrerà comprendere l'esatta portata del peso scaricato sul bilancio pubblico, cioè sulle spalle dei cittadini, andrà verificata la congruità dell'offerta di Cai rispetto alle stime delle società di valutazione, andranno messi in conto i costi indiretti di una concorrenza assai ristretta, se non quasi azzerata, sulle rotte nazionali. Tutti argomenti validi. Ma anche chi nutre dubbi o è nettamente critico per come è stata prima rifiutata l'offerta Air France, e costruita poi la cordata Cai, non può oggi non sperare che la nuova Alitalia decolli, riprenda il volo e sviluppi la sua attività. Solo così, infatti, si potrà ipotizzare di riassorbire un domani una parte degli esuberi, riconquistare efficienza, allargare le rotte, costruire una partnership con un grande vettore straniero, sia esso l'Air France o la Lufthansa. L'alternativa è il fallimento, la vendita a pezzetti dei soli slot più redditizi, il triplo dei lavoratori a casa, costi più elevati per la collettività. Soprattutto, la certificazione che l'Italia è un Paese inaffidabile, ingovernabile nelle sue imprese, senza speranza. Non facciamoci ancora del male.