Possiamo immaginarci l’agitazione nella villetta di Les Combes. Il Papa che cade, l’allarme dei suoi medici, e quel polso malamente contuso e dolorante. E ieri mattina la scelta, comunque, di andare in ospedale in auto, e di entrare con le proprie gambe; quasi già a dire, con l’evidenza dei fatti: sto bene, non è nulla di grave. I pazienti del pronto soccorso di Aosta sbalorditi, alla vista di quello straordinario 'collega'. L’accorrere dei medici, mentre il primo lancio delle agenzie – «Il Papa in ospedale» – fa sussultare le redazioni dei giornali nella mattina pigra di luglio. Poi, fatta la fila, lastre, check up, tutto a posto – tranne quel polso fratturato. La sala operatoria, l’intervento, semplice ma forse con un soffio di ansia nel cuore dei medici: quell’uomo sotto i ferri, schedato come «paziente ignoto 917», è il Papa. E poi il bollettino benigno, e Benedetto che lascia l’ospedale salutando con la sinistra la piccola folla di chi, saputo, è accorso, e i giornalisti trafelati. È stata solo una caduta banale, che, come accade a una certa età, ha spezzato l’osso reso fragile dagli 82 anni. Ne resta il 'gesso' da portare per un mese; e forse poi quelle piccole noie che chiunque si è fratturato conosce, come l’avvertire che verrà a piovere, prima che lo dica il barometro: dalle fitte sottili e petulanti delle ossa, recriminanti pure se perfettamente riaggiustate. Tutto bene, comunque: tanto che, uscito dalla sala operatoria, il chirurgo ha annunciato che Benedetto XVI potrà riprendere a suonare il piano perfettamente. Del che siamo lieti. Anche se il polso, e dunque la mano destra, al Papa servono, prima che per il pianoforte, per cose ancora più importanti. Quella è la mano che in tutto il mondo, con affetto di figli, uomini e donne cercano per stringerla e deporvi un bacio. Ed è quella che gli serve per scrivere. Ma, prima di tutto, per benedire. È il largo gesto domenicale dalla finestra di san Pietro; quella croce tracciata sopra Roma, che conclude la settimana e ne apre una nuova, mentre il suo eco portato dalle radio si allarga nei più lontani angoli del pianeta. Sono i gesti della Messa e della consacrazione, che ogni mattina ripetono, nella mani del Papa, il sacrificio di Cristo. E poi, la mano destra è quella che scrive. Con la penna, o al computer, è lei che traccia, o che corre sulla tastiera. Benedetto XVI scrive moltissimo. Deus caritas est, Spe salvi, Caritas in veritate. Tre encicliche, e quanto dense e cariche di significato, in pochi anni. E ancora il suo 'Gesù di Nazaret' (la prima parte già data alle stampe e alla riflessione di tantissimi e la seconda ancora in stesura, anche in questi giorni di vacanza). Certo, un Papa non manca di chi possa fargli da scrivano. Ma non è lo stesso, dettare a un altro o invece lavorare soli, nel docile obbedire della destra che trascrive il pensiero, e si ferma, cancella, e riprende, compagna e quasi complice. E ci piace pensare che anche il Papa, come accade a noi gente normale, sovrappensiero cercherà di riprendere la penna in mano, e poi ritrovando la rigidità del 'gesso' sbufferà un po’ infastidito – come facciamo noi altri, in questi casi. Ma quanto manca? – chiederà forse impaziente – quanti giorni mancano ancora? Venti, trenta, giusto il tempo della piena estate. Una forzata pausa di quiete – i pensieri che attendono d’esser scritti come in attesa, in coda nella mente del Papa. Buona convalescenza, Santità. Forse Qualcuno ha deciso che il suo lavoro merita più riposo, questa estate, di quanto lei era disposto a concedersene. E con quel Qualcuno, lei lo sa bene, non si discute. Noi, aspetteremo: che la sua mano torni a scrivere le parole che ha da dirci. Ricche, pacate, piene. Che torni a tracciare, ogni domenica, quella larga croce benedicente, sopra il cielo di Roma.