«Il buon giornalismo costa, quindi va pagato». Vista dalla parte di chi fa informazione, la guerra vinta da Rupert Murdoch contro Google è un trionfo su tutta la linea. Il colosso di Internet non regalerà più le notizie che, secondo Murdoch, «rubava agli editori». A breve gli utenti di Google news potranno leggere solo cinque articoli al giorno. Tutto il resto dovranno pagarlo. Ogni editore fisserà il prezzo di vendita di ogni singolo articolo e le modalità di acquisto (si potrà pagare con abbonamenti a scalare, tessere prepagate, sms o quant’altro). Un trionfo, dicevamo. Che premia anche (verrebbe voglia di dire: soprattutto) il buon giornalismo. Quello fatto da professionisti dell’informazione. Gente preparata che – come ripete Murdoch – costa. Secondo il magnate dell’informazione, bastano queste premesse economiche per difendere la qualità dell’informazione e quel giornalismo che non possono essere regalati, perché così si finirebbe con lo svalutarli fino a farli morire. Insomma, anche Google alla fine sembra avere capito che i buoni contenuti servono (anche a loro), ma non possono essere gratuiti. E che quindi era meglio trovare un accordo con gli editori, senza imbarcarsi in una guerra che avrebbe danneggiato anche il colosso della Rete. Tuttavia, se pensate che la partita sia chiusa con la vittoria del buon vecchio giornalismo di qualità contro i computer di Google che pescano notizie sul Web, costruendo siti d’informazione, vi sbagliate di grosso. La partita, quella vera, quella – secondo molti – addirittura epocale, è ancora tutta da giocare. La prossima mossa spetta ovviamente agli editori, i quali valuteranno secondo le loro diverse vedute il da farsi. Ma in gioco c’è anche altro. Per esempio, la reazione di voi utenti. Di voi lettori. Dopo anni di notizie gratuite sulla Rete, la vostra reazione di fronte alle nuove offerte a pagamento è un’incognita che fa tremare le vene ai polsi di ben più di un editore. A dare retta a certe classifiche sulle «news più lette», che campeggiano in certi siti di giornali, sembrerebbe infatti che il pubblico non legga altro che notizie di gossip o "curiose". Invece le cose, come sanno bene gli esperti, sono ben più complicate. Perché quelle notizie solo le più cliccate, non le più lette. In pratica, molti utenti cliccano sì quelle notizie, ma dopo avere letto tutte quelle importanti sulla prima pagina dei siti di informazione. Un’azione, quest’ultima, che però non viene rilevata dai computer e perciò non compare in quelle classifiche, che finiscono così con il privilegiare le «seconde scelte»: le più superficiali, le meno «nobili». In fondo, a pensarci bene, quella che abbiamo davanti è ben più di una guerra tra editori e colossi di Internet. In gioco c’è la stessa credibilità del giornalismo e persino (esagerando solo un po’) la sua stessa sopravvivenza. Perché quando gli articoli arriveranno a pagamento su Internet sarete voi a scegliere cosa vale. Quali informazioni, pensieri e analisi meritano i vostri soldi. E quali sono superflui. Da quel momento editori, giornalisti e soprattutto lettori non avranno più scuse. Perché tutti insieme potranno far vincere il buon giornalismo. Quello che costa. E che merita di esser pagato.