Il primo turno amministrativo nei mille Comuni chiamati al voto in questo giugno 2017 torna a sottolineare un duplice e problematico sfarinamento che contrassegna ormai stabilmente il sistema della rappresentanza politica in Italia. Sfarinamento della fiducia nell'utilità del voto: il povero 60% di partecipazione alle urne nelle più classiche "elezioni di prossimità" non è solo un dato deludente, è un allarme sempre più forte e che non si può continuare a dimenticare non appena si cominciano a maneggiare i consensi espressi da chi si è comunque recato ai seggi.
Questi ultimi, come sempre, ovviamente e democraticamente contano (e illudono), quelli - i non-voti ostinati o in provvisoria e insoddisfatta attesa - pesano (e minacciano) più che mai. E chi dovesse continuare a pensare che i voti (e i non voti) «si contano e non si pesano» potrebbe non aver capito molto di ciò che sta passando nella vita e nella testa di tantissimi italiani e a quali sorprese questo scollamento amaro e spesso indignato può portare.
Sfarinamento del consenso tra una molteplicità di "poli": nelle ultime ore, a caldo, si è parlato un po' troppo di un possibile ritorno al bipolarismo che abbiamo conosciuto negli anni della cosiddetta Seconda Repubblica. È vero che tra due settimane centrodestra e centrosinistra saranno i duellanti di gran lunga più frequenti, ma è altrettanto vero che persino col sistema per l'elezione diretta dei sindaci e delle loro maggioranze di governo - cioè con la legge-madre di quel bipolarismo, che ha dominato, ma poco e male ha funzionato per il Paese - in tante nostre città si sono solidificati almeno quattro poli di riferimento (oltre a centrodestra e centrosinistra, pentastellati e "civici" di diversa colorazione). Per di più, persino con regole che incentivano al massimo l'aggregazione e il voto di due grandi coalizioni contrapposte, è tornata a manifestarsi l'onda neoproporzionalista segnalata dall'infittirsi di bandiere e bandierine "identitarie" relativamente competitive (anche se il più delle volte non sufficienti e autosufficienti in termini di governo delle città). Insomma: si vota per più soggetti, ma sempre di meno. E questa crescente "fatica della scelta" non dovrebbe lasciar tranquillo nessun protagonista (o aspirante tale) della politica nazionale.
Detto ciò, e in attesa tra due domeniche dei ballottaggi che, visti i pochissimi successi al primo turno (in particolare quelli di Leoluca Orlando a Palermo e di Nicola Ottaviani a Frosinone), decideranno come forse mai prima bilanci ed esito complessivo della battaglia elettorale amministrativa in corso, qualche altra annotazione appare utile e necessaria.
Non c'è dubbio che il risultato del Movimento 5 Stelle sia il più evidentemente insufficiente, non tanto rispetto alle ragionevoli attese (stavolta non erano alle viste, anzi, colpi clamorosi come la conquista di Roma e Torino), quanto al trend complessivo ed esplosivo di questi anni. L'esclusione da tutti (o quasi) i ballottaggi maggiori non consentirà al "terzo polo" per eccellenza di far fruttare la seconda scelta (contro l'avversario più tradizionale) di tanti elettori di centrodestra o centrosinistra. Per Beppe Grillo e i suoi c'è da riflettere. Senza l'impegno forte e diretto del leader, il Movimento - pur dimostrando di godere ormai di un certo radicamento - non vola. Ma allo stesso tempo, con una direzione verticistica all’insegna del «fidatevi di me», Grillo e i consiglieri più stretti (Casaleggio jr. in testa) a livello locale – e persino in casa del gran capo, a Genova – trovano quasi ovunque avversari interpreti dello "spartito civico" più attraenti di loro anche se non necessariamente vincenti. Proprio come a Parma, teatro del pur non irresistibile assolo del "licenziato" proto-sindaco a 5 Stelle Federico Pizzarotti.
I due poli "storici" - imperniati, a sinistra, sul Pd post-scissione e, a destra, sull'alleanza tattica e competitiva tra il neo-europopolare Berlusconi e il populista antieuropeo Salvini - occupano la scena e si occuperanno (in proporzioni ancora largamente da stabilire) dei Comuni dove si è votato. Qui si deciderà, come è naturale, l'esito finale di questa prova elettorale. Ma su un piano politico più generale dovranno guardarsi entrambi dall'effetto ottico di un "ritorno al passato" (forse più maturo e meno rissoso o forse proprio no) che sembra esserci stato domenica scorsa, ma che non ci sarà nel voto per il prossimo Parlamento. Certo non con le regole elettorali "amputate" che vengono chiamate "Consultellum" (uno e due). Un sistema senza logica unitaria, che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il puro buon senso - o, meglio, il senso del bene comune - invitano ad armonizzare e integrare per garantire diretta e fedele rappresentanza dei cittadini e, almeno in potenza, governabilità.