La coesione sociale costituisce un concetto basilare per la sociologia e per le scienze sociali sin dalle origini, in quanto fa riferimento all’insieme dei fattori costitutivi del rapporto tra individuo e società, ed in particolare alle dimensioni della appartenenza, della fiducia e della cooperazione tra individui, gruppi sociali e istituzioni. Nei decenni scorsi molti sforzi sono stati dedicati ad approfondire gli aspetti qualitativi e quantitativi della coesione sociale e delle sue sfaccettature nei vari contesti, e negli ultimi anni il tema ha riscosso attenzioni particolarmente elevate, sia a livello di riflessione teorica che di studi sul campo che di opinione pubblica, anche a seguito del dibattito che si è venuto sviluppando sulle sfide della modernità, sulle forme della democrazia e sulle politiche di welfare.
Dal punto di vista dell’opinione pubblica è cresciuta nel periodo più recente la tendenza a sottolineare i rischi dell’indebolimento della coesione sociale nelle società sviluppate, mentre nell’ambito degli approfondimenti teorici e delle tesi di lavoro si è cercato di metterne a fuoco in maniera accurata e ripetuta nel tempo gli elementi costitutivi, riassunti dal Consiglio d’Europa nel 2010 come riconducili a 5 aspetti principali: inclusione sociale, tensioni economiche etniche e sociali, fiducia interpersonale, partecipazione civica e po-litica, senso della comunità e attaccamento. Ed è proprio sulla base di questi aspetti, e degli indicatori di riferimento per la loro misurazione, che la Fondazione di Dublino per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound) ha fatto il punto sulla situazione europea nei mesi scorsi. I risultati dello studio (presentati e discussi nell’ambito della 14° Conferenza internazionale sul Reporting sociale di Villa Vigoni dal 14 al 16 ottobre scorso) sono rassicuranti e problematici al tempo stesso. Da un lato, infatti, l’analisi condotta con dovizia di dati ed elaborazioni ha rilevato una tenuta e addirittura un miglioramento della coesione sociale a livello europeo generale nel 2017 (ultimo dato disponibile), dopo il peggioramento registrato nel periodo precedente, ed attribuibile da un lato alla crisi economica del 2008 e dall’altro lato a quella cosiddetta 'dei rifugiati' del 2015.
Entrando nei dettagli, però, si registrano importanti differenze tra aree geografiche e gruppi sociali, con livelli più bassi di coesione sociale nei Paesi dell’Europa meridionale e dell’Est rispetto al Nord e all’Ovest (il cosiddetto gradiente Nord-Sud e Est-Ovest) e tra le categorie di popolazione svantaggiate dal punto di vista socioeconomico. In particolare il Sud Europa, all’interno del quale si colloca l’Italia, mostra valori più bassi per quanto riguarda la percezione di inclusione sociale, la fiducia interpersonale ed istituzionale e l’impegno civico e politico. E valori più elevati per attaccamento alla propria area locale e rapporti con i vicini. E le fasce deboli (poveri, anziani, malati cronici) si collocano al di sotto della media per inclusione sociale, fiducia, partecipazione e percezione delle tensioni sociali, con evidenti tendenze alla polarizzazione nell’ambito della classe media, tra ceti medio-bassi e ceti medio-alti, sempre più distanti tra loro.
È evidente l’interesse della analisi e dei risultati qui brevemente riassunti (Eurofound, Quality of life, Social cohesion and well-being in Europe, Dublin 2018), ma è altrettanto evidente che i dati raccolti, sicuramente utili per una descrizione dello stato dell’arte, non aiutano, se non molto parzialmente, a fare dei passi avanti nella comprensione delle cause degli andamenti rilevati e nella individuazione degli obiettivi da perseguire. Tanto è vero che, quando lo studio cerca di individuare i cosiddetti driver delle tendenze descritte, potremmo dire i loro determinanti, non riesce ad andare oltre ad alcune correlazioni decisamente scontate con la ricchezza, il prodotto interno lordo, l’occupazione, la mobilità ed altre variabili di natura principalmente economica. E si sente la mancanza di riferimenti a variabili più complesse ed articolate, che tengano conto dei valori sociali di una collettività e degli obiettivi condivisi a livello sociale e politico. È quanto ad esempio tenta di fare l’IPSP (International Panel for Social Progress), un Osservatorio con 300 esperti mondiali coordinati da Amartya Sen e impegnati sul tema 'Ripensare la società del XXI secolo'.
Questo gruppo si colloca su posizioni diverse rispetto agli approcci descrittivi e fortemente condizionati da un’ottica socio economica, insistendo su aspetti valoriali – come la libertà, la lotta al relativismo, la solidarietà, il riconoscimento – e di principio – dignità, diritti, giustizia distributiva, democrazia –. In questa ottica IPSP registra un peggioramento generale della situazione mondiale e insiste sulla necessità di agire con modalità eticamente e socialmente sostenibili a livello politico mondiale, regionale e nazionale. Oltre alla impostazione di IPSP, andrebbero valorizzate alcune altre analisi che fanno riferimento ad importanti differenze nella coesione sociale. In particolare risultano tuttora attuali e valide le interpretazioni che distinguono tra 'coesione-legame' e 'coesione-ponte' ( binding e bridge): la prima si verifica in comunità relativamente piccole e nelle quali la coesione è sviluppata in termini di legami interni; mentre la seconda è presente in forma più estesa geograficamente e culturalmente, e si basa su collegamenti e legami tra culture e comunità diverse. Una sorta di applicazione più recente della distinzione proposta già da Durkheim in termini di 'coesione meccanica' (quella dei piccolo gruppi chiusi) e 'coesione organica' (quella tra gruppi, funzioni e culture diverse).
È empowerment (il potenziamento, la crescita del peso) e le aspettative sociali di efficacia delle politiche dell’Università Martin Luther di Halle-Wittenberg. Questi temi, di natura più complessa e non facili da affrontare con la ricerca sociale, risultano decisamente più promettenti per capire i problemi della coesione sociale rispetto alle pur importanti analisi descrittive delle istituzioni europee. Soprattutto sorge spontaneo l’auspicio che l’Italia possa partecipare attivamente alla discussione in corso in Europa sul tema, portando il contributo della nostra tradizione di impegno comunitario e solidaristico, che tanta parte ha avuto nello sviluppo del paese, ma non chiudendo gli occhi di fronte ai problemi ed alle criticità. Anche perché proprio l’Italia è una delle comunità nazionali nelle quali si registrano in maniera particolarmente evidente le criticità, attribuibili al prevalere di forme di appartenenza ristrette all’ambito delle piccole comunità, geografiche o ideali che siano.
Aprire lo spazio della coesione sociale, con interventi mirati a riconoscere il valore di una coesione allargata di tipo interclassista e globale, sembra essere un importante obiettivo da perseguire. Lavorare sul rapporto tra efficienza ed efficacia delle politiche pubbliche, sull’empowerment dei cittadini rispetto alla gestione della cosa pubblica, sull’inclusione delle realtà periferiche, di nuovo sia in termini geografici che in termini sociali, è un altro degli obiettivi da non trascurare.