La "novità" di Todi ha stupito e preoccupato soltanto chi in tutti questi anni è stato estraneo al grande lavoro svolto dalle molte organizzazioni del mondo cattolico. A chi ha ancora negli occhi la fine della Democrazia Cristiana che allora visse con sofferenza o, magari, come una personale vittoria. Chiusa quella pagina eccezionale della nostra storia anche la presenza dei cattolici nella politica italiana avrebbe dovuto essere "normalizzata": cioè ridotta ai margini. Soltanto negli ultimi anni, con l’affievolirsi del richiamo berlusconiano e l’impietoso incedere della crisi morale, economica e sociale della nostra Nazione ci siamo imbattuti in corrucciate analisi sull’«irrilevanza» dei cattolici in politica. Un’«irrilevanza» a suo modo bipolare, giacché viene registrata tanto a destra quanto a sinistra. Noi, nelle strade che abbiamo percorso in questo tempo, abbiamo fatto diretta esperienza di tale realtà. Tuttavia, non abbiamo smesso di cercare, senza illuderci che una svolta fosse a portata di mano.
Noi, di fronte alla "novità" di Todi, abbiamo avuto il privilegio di poter restare in silenzio, da ascoltatori attenti. Con qualche speranza in più. Sollevati dal rude compito di attaccare il governo e il suo capo, oppure di difenderlo utilizzando questo o quel passo del bell’intervento di apertura al Forum del presidente della Cei. Non abbiamo neanche dovuto illustrare la funzione e il ruolo dei cattolici nel Pd e in altri partiti di sinistra. Non abbiamo, sopratutto, dovuto perdere del tempo per dibattere sull’eventuale resurrezione di una Balena bianca; un dibattito che del resto è vissuto da chi vi partecipa come una specie di esorcismo. Il partito nel quale siamo impegnati ha nel suo simbolo lo scudo crociato e si ispira alla dottrina sociale della Chiesa. E questo ci basta. La nostra invidiabile condizione ci ha permesso di distinguere nelle parole del cardinale Angelo Bagnasco gli orientamenti sui quali si muoverà il mondo cattolico. «Gli anni da cui proveniamo potrebbero aver indotto talora a tentazioni e smarrimenti, ma hanno indubbiamente spinto i cattolici, alla scuola dei Papi, a maturare una più avvertita coscienza di sé e del proprio compito nel mondo». È un forte richiamo per i cattolici laici, quasi a solennizzare anche così, il cinquantesimo del Vaticano II che segnò la provvidenziale apertura di una stagione che è tutt’altro che finita.
Noi pensiamo che una delle prime questioni da affrontare stia nell’uscire da una sindrome d’accerchiamento e da una certa coscienza minoritaria che pervade tuttora alcuni ambienti del nostro mondo. Il tempo che viviamo richiede più che mai – e mentre crescono sensibilità sul terreno antropologico fino ad ieri impensate – intelligenza, coraggio, disponibilità al dialogo tra cattolici, laici e non credenti. Simbolo del futuro impegno sociale e politico dei cattolici sono, infatti, il dialogo e la fedeltà alla visione antropologica così come scaturisce dal Vangelo e dalla dottrina sociale della Chiesa più volte ribadita dal magistero.
A questo i cattolici sono sollecitati da sedi molto diverse tra loro, dal direttore di Avvenire («ci sono valori fondamentali che uniscono cattolici e no»: «c’è un grande lavoro da fare») e da quello del Corriere della Sera (nell’«indispensabile opera di pacificazione del dopo Berlusconi» i cattolici «possono intestarsi una nuova missione, esserne protagonisti»). E da quegli studiosi (Barcellona, Sorbi, Tronti, Vacca, su Avvenire del 16 ottobre) i quali, tanto sul rifiuto del «relativismo etico» quanto sul concetto di «valori non negoziabili», ritengono necessario un confronto tra la Chiesa e il Pd, affidando evidentemente a questo partito la rappresentanza di un pensiero "di sinistra" e laico. Anche per questi intellettuali, la storia dell’Italia unita dimostra che «la funzione assolta o mancata del cattolicesimo politico è stata determinante e lo sarà anche in futuro». Noi lo sappiamo bene, come sappiamo che piuttosto, oggi, è debole, sfuggente la funzione ideale e di proposta che nel passato è stata svolta dalle cattedre e dalle organizzazioni sociali e politiche che si ispirano a culture e valori nei quali è assente la fede in Dio. Quelli che, appunto, usavano definirsi laici e marxisti. Di sicuro, anche per questo, la parte che giocheranno i laici cattolici, per usare le parole di Andrea Riccardi, sarà decisiva per rimettere sulle gambe l’Italia. Noi crediamo che il primo passo del nuovo corso debba essere la creazione, con tutti gli accorgimenti della modernità, di quel «soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica» citato da Bagnasco. Esperienze preziose come Retinopera o il Forum di Todi si muovono in questa direzione. Un soggetto forte alle spalle, non parliamo di un Comitato alla tedesca, ma è lì che ci portano le nostre analisi, darebbe una benefica scossa alla politica, alle politiche dei cattolici già impegnati.