Allineati nella luce del mattino sulla battigia della Plaia, i corpi dei sei giovani migranti annegati ieri all’alba nelle acque di Catania toccano il cuore. Morti come topi, traditi da un piccolo abisso a un passo dalla salvezza dopo un viaggio infinito, proprio mentre lì accanto attraccavano in porto tre navi da crociera. Fuggivano a ogni costo dalla guerra civile in Siria e dalla miseria e dal caos in Egitto. Non sappiamo ancora se, su 102 passeggeri, 55 siano davvero minori, 17 dei quali non accompagnati, e se uno dei morti fosse un adolescente. Non cambia molto, muoiono nel nostro mare persone sempre più giovani.
Bisogna prendere atto dell’incapacità dei governi europei di fermare la sequela delle morti sulle carrette del Mediterraneo. La preghiera di Papa Francesco a Lampedusa in memoria delle vittime, la sua richiesta di perdono per l’indifferenza davanti a questi drammi interpellano più che mai le coscienze dopo questa ennesima tragedia e dopo che alcuni profughi somali hanno raccontato di almeno cinque persone, tra cui un bambino, finite sul fondo del mare la scorsa settimana.
Sappiamo che il flusso via mare è gestito da organizzazioni criminali potenti, floride. È allora in chiave comunitaria che va affrontato seriamente l’enorme problema del racket di esseri umani. A bordo del vecchio e malconcio peschereccio incagliatosi a Catania, che forse ha imbarcato i profughi da una nave madre al largo, c’erano certamente alcuni scafisti, ma sono gli ultimi anelli di una catena di trafficanti che parte molto in alto, talvolta fin tra le autorità dei Paesi nordafricani. La riprova è il caso emblematico (ne parliamo a pagina 5) dello scafista egiziano arrestato, rispedito in Egitto e di nuovo catturato dalle nostre autorità. Significa che a monte i veri colpevoli, corrotti e spesso in divisa, hanno omesso i controlli. Il caos al Cairo non lascia speranze: le partenze da quel Paese sono destinate ad aumentare senza un fermo intervento delle autorità italiane ed europee per colpire le menti assassine responsabili delle morti nel Mediterraneo.
Tra i migranti arrivati ieri, molti sono siriani. È dalla scorsa primavera che l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati e la Caritas annunciano le partenze di profughi dalla Siria. Ora stanno arrivando anche in Italia, ed è legittimo chiedersi se siamo di fronte all’avanguardia di nuove ondate migratorie che dureranno almeno tutta l’estate. Per non continuare a vivere nell’emergenza, l’Italia può prepararsi ampliando la capacità di accoglienza, ma non si può fare a meno di una fattiva collaborazione tra i Paesi rivieraschi e quelli del Nord. Gli sbarchi del 2013, come quelli di ieri, segnalano che sulle carrette del mare viaggiano persone sempre più difficili da definire giuridicamente. Appartengono ai cosiddetti flussi “misti”, perseguitati politici e sociali viaggiano accanto a chi fugge dalla miseria e cerca di entrare in maniera illegale. Un nodo che rimanda a riflessioni complesse a livello giuridico. Se il dovere dell’accoglienza fino a quando viene esaminata la domanda di asilo è inderogabile per un Paese civile, in chiave europea va avviata una riflessione sul destino di chi poi non ha diritto di restare come rifugiato, fatta salva la dignità umana di ciascuno. Serve un nuovo equilibrio tra le esigenze di Paesi come la Germania che da qui al 2020 avrà bisogno di sei milioni di lavoratori per continuare a crescere e il Sud della Ue – esposto agli sbarchi – in cui la disoccupazione viaggia a due cifre.
Infine, in quella che è stata definita una strage, si deve rendere omaggio all’umanità del proprietario del bagno del lido Verde di Catania, teatro del tragico sbarco, che ha deciso di chiudere per lutto ieri e oggi. Stavolta niente scene di bagnanti indifferenti davanti ai cadaveri, ma qualcuno che ha fatto prevalere le ragioni del cuore su ogni altra considerazione.