«Ammiraglio, comandante, ufficiali, sottufficiali e marinai; grazie per averci salvati! Grazie a tutti coloro che con spirito cristiano si sono sacrificati per noi notte e giorno. Voi italiani avete un cuore molto buono; nessuno ci ha mai trattato così bene. Eravamo morti e per la vostra bontà siamo tornati a vivere. Questa mattina quando dal ponte di volo guardavamo le coste italiane una dolce brezza ci ha accarezzato il viso in segno di saluto e riempito di gioia il nostro cuore. Siete diversi dagli altri popoli; per voi esiste un prossimo che soffre e per questa causa vi siete sacrificati. Grazie».
Correva l’estate del 1979, giusto quarant’anni fa. E queste sono le parole con cui alcuni boat people vietnamiti ringraziarono gli uomini della Marina Militare italiana, che nel Mar Cinese meridionale li avevano tratti in salvo. (Chi è giovane forse non sa: i "boat people" erano migranti, fuggitivi dal Vietnam del Sud, dopo l’avvento del regime comunista del Vietnam del Nord, nel 1976). Fuggivano verso il mare aperto, su barchette stracariche, sperando di incrociare una nave che li soccorresse. La missione italiana andò in aiuto di alcuni di loro, e i profughi ringraziarono, meravigliati: «Siete diversi dagli altri popoli; per voi esiste un prossimo che soffre...».
A esattamente quarant’anni di distanza queste parole fanno sussultare, a confronto con quanto raccontano le cronache da Sondrio. Dove una giovane nigeriana, arrivata in ospedale con una sua bambina di cinque mesi moribonda, piangeva e gridava, straziata. E in una sala d’attesa qualcuno sbottava: «Riti tribali..», «Sono scimmie...», e, anche, un uomo sulla sessantina: «Tanto, questi ne sfornano uno all’anno». Rintracciata dai cronisti la giovane mamma, Alimi, 22 anni, ha risposto: «Non ho nulla da dire. Sono quelle persone, semmai, a dovermi spiegare come si fa a trasformarsi in uomini così».
Vogliamo pensare che siano poche, le persone così, fra noi – anche se l’humus di un certo rozzo populismo può alimentare queste esternazioni, e fare esprimere ciò che pochi anni fa sarebbe stato indicibile. Ma, se pure le persone capaci di dire cose simili sono poche, non possiamo non interrogarci: come ha attecchito, come è spuntato questo odio? Certo, gli immigrati oggi sono aumentati, circa il 9% della popolazione residente, e c’è chi li descrive come "invasori"; ma da qui al disprezzo, alla disumanità di quelle parole, c’è ancora un bel salto. Di fronte alla morte, poi: alla morte di una bambina. Come si fa a trasformarsi in uomini così? chiede una giovanissima mamma di orgine africana. Già, come si fa? Forse, succede coltivando per anni il proprio egoismo, lo sguardo stretto solo sul proprio privato orto, e insieme il cinismo, che rende impossibile il compatire. Succede, se spesso le parole spese in pubblico da chi ci rappresenta ci confermano nell’egoismo e nel razzismo, e quindi ci si sente in tanti, e non si ha più vergogna di certi sentimenti. Succede, in un paese cristiano, se il Crocefisso viene dimenticato nel suo significato radicale di sofferenza, morte e amore, e la fede svuotata resta una formalità, l’occasione per regali e pranzi di Natale.
Certo, sono tantissimi, una silenziosa laboriosa moltitudine, gli italiani generosi e solidali. Ma il ripetercelo non basti a consolarci, né a farci chiudere gli occhi. Proprio giovedì il Papa, parlando a profughi arrivati con un "corridoio umanitario" da Lesbo, tremenda frontiera dell’immigrazione da Oriente, si è chiesto: «Come possiamo non ascoltare il grido disperato di tanti fratelli e sorelle che preferiscono affrontare un mare in tempesta piuttosto che morire lentamente nei campi di detenzione libici, luoghi di tortura e schiavitù ignobile? (..) Come possiamo "passare oltre", come il sacerdote e il levita della parabola del Buon Samaritano, facendoci così responsabili della loro morte? La nostra ignavia è peccato!».
E ha aggiunto, papa Francesco, che bisogna «impegnarsi seriamente a svuotare i campi di detenzione in Libia», e che 'non è bloccando le loro imbarcazioni che si risolve il problema». Bisogna soccorrere e salvare, ha detto forte il Papa, perché «il Signore ce ne chiederà conto al momento del giudizio». Parole nette, non eludibili parole. Le ascolti e ripensi a quelle voci, a Sondrio; e ai boat people di quarant’anni fa. «Voi italiani avete il cuore molto buono…». Lo abbiamo ancora, o qualcosa ci sta cambiando, una metamorfosi ci va sfigurando? Come una smemoratezza di noi, di cosa siamo e, dunque, di cosa saremo. Di quel 'cuore' che commuoveva i naufraghi dall'altra parte del mondo, meravigliati che noi si fosse andati fino a laggiù, per degli stranieri. (E forse, nel lungo viaggio verso l’Italia, qualcuno di loro si domandava per che cosa, e perché, avevamo fatto tanta strada).