Assomiglia a una spietata esecuzione che i terroristi solitamente riservano ai 'nemici del popolo' la morte violenta del cooperante italiano, sequestrato e ucciso a Gaza nel giro di poche ore. Ma Vittorio Arrigoni, che da tre anni aveva scelto di vivere nella Striscia di terra più isolata del mondo, era noto come un amico del popolo palestinese di cui aveva preso le difese come 'scudo umano' in più occasioni. Ferito, arrestato e incarcerato dall’esercito israeliano, aveva rischiato la vita restando a Gaza sotto i bombardamenti di 'Piombo fuso', l’offensiva militare lanciata dal governo di Gerusalemme nel dicembre 2008. Da quel fronte gli poteva giungere il pericolo, non certo tra le vie polverose di una città che considerava ormai come casa sua. Di fronte alla sua morte il dolore e l’orrore s’aggiungono allo sgomento per un crimine tanto più odioso quanto più apparentemente inspiegabile e assurdo. Arrigoni è stato rapito e ucciso da un commando ultra-fondamentalista che si oppone ad Hamas, il movimento islamico radicale che controlla la Striscia di Gaza. Ma non si tratta semplicemente di una faida tra gruppi estremisti. C’è qualcosa di più terribile e oscuro che ha a che fare con l’odio e il fanatismo violento, sentimenti sempre più diffusi a Gaza da quattro anni sottoposta al duro embargo d’Israele, schiacciata dal regime autoritario e corrotto di Hamas, di fatto ignorata e abbandonata dalla comunità internazionale. In questo buco nero di miseria e disperazione i confini tra bene e male, tra amico e nemico, sono purtroppo diventati sempre più labili e confusi. Solo così si spiega il paradosso di un attivista, sinceramente e generosamente impegnato a sostenere la causa palestinese, accusato di diffondere «i vizi occidentali». Da quando nel giugno del 2007 Hamas ha preso il potere, nella Striscia di Gaza è proibita la vendita di alcolici, le donne girano tutte rigorosamente col velo e gli 'shahid', i ragazzi-kamikaze, sono venerati come martiri dell’islam. Ma l’integralismo di regime suscita ogni giorno nuovi e terribili concorrenti. Jihadisti delusi dalle caute aperture a Israele di Hamas e salafiti desiderosi d’imporre ancora più severamente la sharia, la legge coranica, e d’instaurare un Califfato islamico, raccolgono sempre più consensi. Le autorità di Hamas minimizzano, parlano di pochi «criminali fuorilegge» e negano l’esistenza di seguaci di al-Qaeda nella Striscia di Gaza. Ma per i servizi segreti israeliani (spettatori non certo disinteressati), gli islamisti ultra-radicali sarebbero centinaia. E per l’Autorità palestinese addirittura migliaia. Sono loro che poco tempo fa hanno incendiato una scuola dell’Onu, ritenuta blasfema perché non separava i maschietti dalle femminucce. Negli ultimi mesi hanno distrutto vari Internet-café e numerosi locali sospettati di vendere alcolici sottobanco. Nel mirino sono finiti anche i cristiani residenti a Gaza dove un pastore protestante è stato ucciso e una scuola cattolica, gestita dalle Piccole Sorelle, ha subìto un attentato dinamitardo. E adesso, con il barbaro omicidio di un cooperante italiano, hanno deciso d’alzare il tiro inviando un macabro segnale a tutti gli occidentali. Proprio mentre in tanti Paesi arabi si sta diffondendo la primavera della libertà, nella Striscia il malcontento assume connotati taleban. E chissà se l’estremo sacrificio di Vittorio Arrigoni servirà a risvegliarci dalla lunga, colpevole indifferenza di fronte al dramma di Gaza, sempre più ostaggio della violenza e del terrore.