ANSA
Caro direttore,
aumentare del 5% l'imposta cedolare secca sugli affitti brevi, noi che viviamo di turismo, vuol dire incentivare di fatto il cosiddetto nero. Era già tanto il 21 a fronte di un 10% sugli affitti condivisi. Oltre un quarto della pigione allo stato è davvero troppo! Quindi anziché incentivare la dichiarazione del reddito percepito e la registrazione dei contratti di locazione ci troveremo con tanto sommerso, come si usa dire, e con meno regolarità. Soprattutto con un forte mercato degli stranieri. Ecco quindi che l'effetto governativo sparisce. Vale la vecchia regola: pagare meno ma pagare tutti. La strada intrapresa è a mio parere infruttuosa. Non è un interesse di bottega ma una constatazione di chi vive ogni giorno sul Lago di Garda dove il turismo è di casa, meglio è una costante convivenza. Basti pensare che solamente nel mio piccolo paese ci sono oltre 800 locazioni turistiche e ben 11 campeggi. Da 7.000 abitanti in inverno passiamo ad 80.000 da maggio ad ottobre. Credo che questo basti per compiere un ragionamento. Cordialmente
Sergio Bazerla
Pochi temi dividono, gentile lettore Sergio, come il livello delle tasse da pagare. Quale può essere un grado “equo”? Una risposta secca, ovviamente, non c’è. Lei tocca nello specifico, in questa sua mail al direttore, un punto che ha visto la politica muoversi da anni: era il 2011 quando l’ultimo governo Berlusconi volle introdurre questo regime sostitutivo per pagare un’imposta (piatta, in rapporto fisso) sui redditi da locazione. Lo strumento in sé, che – va ricordato – è riservato alle persone fisiche, è sempre stato criticato, specie da sinistra, perché ritenuto di valore troppo basso. All’inizio, perdipiù, non fece salire il gettito, andando a recuperare l’evasione preesistente. Con gli anni, tuttavia, il sistema ha preso quota: le entrate da cedolare secca erano nel 2018 di oltre 2,7 miliardi, ma nel 2020 e 2021 hanno superato i 3 miliardi e per questa scelta hanno optato oltre 2,6 milioni di contribuenti. Ipotizzando che il nuovo regime previsto in manovra per le seconde, terze e quarte case date in locazioni brevi non muti durante l’esame parlamentare, si può dire oggi che la cedolare non conviene rispetto all’Irpef ordinaria, dopo l’aumento al 26%, solo per i titolari di redditi bassi (ammesso che abbiano almeno due case...) e nelle zone dove il peso delle addizionali è minore: a Milano, a esempio, con 13mila euro di canoni (tassati al 26% per 3.380 euro, quindi) che si sommano ad altri 15mila euro di reddito imponibile, il regime ordinario dell’Irpef è più conveniente di 117 euro rispetto alla cedolare; ma il discorso si ribalta a Roma, dove le addizionali sono più “salate”. La convenienza ovviamente cresce poi, e rimane netta, al salire del reddito, anche se l’incremento di 5 punti dell’aliquota ridurrà ora il rendimento. Certo, non si può non ricordare che le case sono un bene particolare, comunque gravato da altri costi, a partire dalle manutenzioni ordinarie e straordinarie che spesso riducono fortemente, anche fino a meno del 50% nel totale, il guadagno per il proprietario. È un investimento, quindi, che perde “fascino”, specie in un periodo in cui l’interesse garantito da un normale Btp è tornato a salire. Tenuto conto di ciò, il 21% sarebbe potuto restare certamente un valore più idoneo per non tartassare i titolari di immobili. Anche perché non si può ignorare che il problema del settore resta invece l’evasione, anche e soprattutto da parte delle grandi “piattaforme” internazionali, come proprio in questi giorni hanno dimostrato le vicende di Airbnb e Booking (che proprio venerdì scorso ha patteggiato col Fisco italiano un versamento di 94 milioni per irregolarità sull’Iva). © RIPRODUZIONE RISERVATA