sabato 31 gennaio 2009
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Mancava solo il farneticante autodafé di Cesare Battisti perché una vicenda giudiziaria già di per sé troppo tormentata si mutasse in farsa. Ci ha pensato lui stesso, visto che ora, con rara improntitudine, accusa dei propri delitti quattro suoi ex compagni dei Pac (Giuseppe Memeo, Sante Fatone, Sebastiano Masala e Gabriele Grimaldi), e perfino specula sul fatto che il colpo che ferì e rese invalido il figlio del gioielliere Torregiani partì dall’arma del padre del ragazzo. Ma nel suo delirio il terrorista italiano ospite delle carceri brasiliane si avvale anche di illustri comprimari. «L’Italia – affermava ieri il ministro della Giustizia brasiliano Tarso Genro – è chiusa ancora negli anni di piombo: la differenza è che qui in Brasile siamo più avanzati su questo argomento, tanto che stiamo discutendo sulla nostra legge di amnistia». Questo giudizio, di per sé risibile, potrebbe essere derubricato come una modesta battuta di sapore goliardico, visto che nel vasto Paese latinoamericano il carnevale è sacro. Del caso Battisti sappiamo ormai tutto, o quasi. Pluriomicida, inizialmente reo confesso, poi rifugiato nella tollerante Francia di Mitterrand assieme a compagni d’arme e di ideologia, quindi scrittore di romanzi gialli, infine fuggiasco grazie a complicità mai del tutto chiarite (giusto ieri, il consigliere europeo di Sarkozy Fabien Raynaud ha escluso ogni coinvolgimento degli 007 francesi nell’affaire). È noto però che negli anni dell’esilio – meglio diremmo: della latitanza – Battisti è stato amico intimo di alcune teste fini della famigerata gauche caviar, quella 'sinistra al caviale' il più delle volte sovvenzionata proprio da noi, specializzata nello stigmatizzare la rovina dell’Italia e nel cucire i panni addosso a chicchessia senza troppo sporcarsi le mani. Una sinistra che dietro quella spocchiosa alterigia che fu già dei cattivi maestri come Toni Negri e dei loro meno nobili epigoni come Oreste Scalzone nasconde un’insospettata catena di solidarietà che va oltre i confini francesi e che non a caso qualcuno chiama 'l’internazionale trotzkista'. Teniamo a mente questa locuzione, perché il rimando del ministro brasiliano agli anni di piombo la chiama in causa direttamente. In proposito, il ministro Frattini è stato di risoluta nettezza: «Non commento espressioni che appartengono alla demagogia e alla retorica del comizio. Sappiamo noi che cosa sono stati gli anni di piombo e saremo noi a decidere come chiudere quella stagione che ancora non conosce il pentimento». Lo stesso Berlusconi, in attesa dell’udienza del 2 febbraio nella quale la Corte Suprema brasiliana darà il suo responso sulla richiesta dell’estradizione di Battisti presentata dall’Italia, preannuncia che sul fronte giuridico «non verrà lasciato nulla di intentato». Ma anche i volenterosi sostenitori di Cesare Battisti non hanno lasciato nulla di intentato. Nel corso degli anni il loro beniamino è stato finanziato, consigliato, protetto in modo che la sua fuga andasse a buon fine in un Paese che non riconosce la pena dell’ergastolo e dove dunque aveva ottime probabilità di rimanere impunito. Mancava solo uno status che gli levasse la patente del terrorista e dell’assassino, donandogli quella del rifugiato politico. Il che rende vieppiù ridicolo il teorema brasiliano sugli anni di piombo. I quali invece, a tutti gli effetti, non sembrano ancora trascorsi proprio per loro, per questi signori che rifiutano ogni pentimento e non sembrano necessitare di ripensamenti ideologici di alcun tipo, forti di un immobilismo concettuale che non possiede nemmeno un grammo di nobiltà rivoluzionaria, bensì si avvale di un’omertosa catena di complicità. Peccato che ci sia sempre qualcuno disposto ad assecondarla, per affinità o per calcolo.
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