«Battano un colpo», avevamo scritto due mesi fa in occasione della rivolta di Rosarno. Ci rivolgevamo alle istituzioni, per troppo tempo assenti e silenti, mentre «sotto gli occhi di tutti» avveniva lo sfruttamento degli immigrati. Ieri quel colpo è stato assestato. Preciso e, soprattutto, completo. L’hanno vibrato la procura di Palmi e le Forze dell’ordine al gran completo (ci fosse sempre un coordinamento operativo così efficace...), affondando il coltello nella piaga. Perché tale è lo sfruttamento dei migranti nella Piana di Gioia Tauro. Le manette sono scattate per «caporali», italiani e immigrati, ma, ed è qui il fatto più importante, anche per gli imprenditori agricoli che, proprio grazie alla complicità dei «caporali», utilizzavano la manodopera straniera con orari di lavoro e salari da vero e proprio schiavismo.Quello che era emerso dopo i fatti del 7 febbraio scorso, ora trova conferma. E, proprio come allora, sono stati gli stessi immigrati a denunciare coraggiosamente i proprio aguzzini. Intelligente la decisione dei magistrati di dare loro fiducia. Ben quindici hanno testimoniato, raccontando nomi e modalità dello sfruttamento. E così si è potuto davvero andare fino in fondo. Mano pesante, dunque, contro sfruttatori e complici, fino al sequestro delle aziende agricole coinvolte. Non era mai successo. Un segnale davvero forte per uno scenario, quello descritto nell’ordinanza di custodia cautelare, da vero inferno. Qua, è bene ricordarlo, non si tratta di ’ndrangheta, di reati di mafia ma di reati di sfruttamento. Nell’ordinanza le parole mafia, ’ndrangheta o cosche non sono mai citate. Certo da queste parti è difficile immaginare che i clan si disinteressino di un affare o, comunque, di un fenomeno di ampie proporzioni come la presenza degli immigrati. Non possono farsi sfuggire il controllo del territorio. E probabilmente hanno anche cavalcato e indirizzato la protesta dei rosarnesi contro gli immigrati (le indagini sono ancora in corso). Non è neanche da escludere che alcuni degli arrestati di ieri siano prestanome o, comunque, legati ai boss.Ma quello che pesa è l’immagine di un sistema economico, quello agricolo della Piana di Gioia Tauro, dominato dall’illegalità. Ed è preoccupante che gran parte delle aziende risultino formalmente delle cooperative. A parte gli anni luce di distanza tra la funzione solidaristica della cooperazione e quanto, invece, accaduto a Rosarno, questo coinvolgimento la dice lunga sui trucchi e le truffe che in ogni settore colpiscono l’economia meridionale, non esclusa l’agricoltura. Da anni le vere cooperative calabresi, tra le quali molte sostenute dal Progetto Policoro della Cei, non mancano di denunciare questa situazione di illegalità e di vantaggio per furbi, collusi e affaristi. E il coperchio si è finalmente alzato. Magistratura e Forze dell’ordine hanno cominciato a fare pulizia, rapidamente e con efficienza. Ora tocca al resto della realtà calabrese: alla politica e al mondo imprenditoriale. Anche a quest’ultimo avevamo chiesto di «battere un colpo». Non ci sono davvero più alibi per non fare pulizia fino in fondo. Inquirenti e investigatori hanno confezionato ieri un bel regalo per il prossimo 1° maggio, festa di tutti i lavoratori, italiani e immigrati.L’impegno di tutti, da qui in avanti, è che di Rosarno, come anche di Castelvolturno, non si debba più parlare in termini di cronaca nera. Chi sfrutta i lavoratori e truffa lo Stato dovrà stare più attento o cambiare mestiere. Lasciando il campo ad un’agricoltura sana, solidale, accogliente. Con la stretta, e doverosa, collaborazione e sorveglianza delle amministrazioni locali e regionali, per decenni "distratte" o complici. Due mesi fa avevamo suggerito un confronto tra Val di Non e Piana di Gioia Tauro, sottolineando le profonde differenze: efficienza e legalità da una parte, incapacità e sfruttamento dall’altro. Forse oggi la valle trentina comincia ad essere un po’ più vicina alla piana calabrese.