Noi italiani non siamo sempre bravi a vivere i giorni di festa. E spesso, come anche stavolta le cronache politiche confermano, riusciamo ad addobbarli di polemiche insensate. Ma oggi, 17 marzo 2011, 150° anniversario dell’unità politica d’Italia, vale la pena di essere bravi e felici. Oggi è davvero un giorno speciale, e dovremo saper fare un allegro eppure serissimo sforzo per viverlo bene. Perché oggi ci è offerta l’occasione per celebrare e "capire" con la giusta solennità la nazione e il paese che siamo e che vogliamo essere, e per rifare nostri tre concetti fondamentali: unità, radici, futuro.Ieri, destinandoci un prezioso regalo di compleanno, anche Benedetto XVI ci ha aiutato a mettere nella testa e nel cuore questa festa. Ha sciolto idealmente, il Papa, le campane della Chiesa universale per noi, figli di una terra e di una storia toccati con straordinaria intensità e fedeltà dal cattolicesimo e segnati dalla millenaria presenza dei Vicari di Cristo. È un gesto d’amore che riassume quelli compiuti nel passato e ancora e sempre – in ogni momento e in ogni angolo della Penisola – da un popolo che è italiano e cristiano. Ci ha ricordato chi siamo e che cosa abbiamo saputo costruire, Papa Benedetto. Quale straordinaria
unità prima dell’unità noi italiani abbiamo fatto e custodito nel bellissimo e coinvolgente segno (segno di mani e opere e volti) dell’umanesimo cristiano, e quali aspri conflitti politici grazie a essa abbiamo potuto e saputo conciliare arrivando, infine, a rispecchiare negli esemplari rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica quella serena e potente solidarietà («una profonda amicizia tra comunità civile e comunità ecclesiale») che è sempre stata propria della nostra società, persino nelle fasi più difficili del cammino comune. Non finiremo mai di riflettere su questo punto, e di sottolinearlo. E se la riflessione si farà davvero ampia e condivisa, e se la sottolineatura diventerà forte e convinta, sarà un gran bene per l’Italia. La consapevolezza delle radici è, infatti, la prima condizione di un’unità non formale, è motivo di esistenza ed è sostanza della speranza.Oggi è, dunque, un giorno di festa da vivere con pienezza. Alzando e approfondendo lo sguardo. All’interno del giornale abbiamo deciso di proporre questa sfida ai nostri lettori facendo correre assieme, pagina dopo pagina, due fiumi di eventi. In alto, in cento piccoli e ben cesellati "quadri", quello degli eventi che hanno segnato il secolo e mezzo che abbiamo alle spalle. Sotto, il consueto incalzare della cronaca quotidiana. È un modo per ribadire che ogni «unità» – l’unità politica di un paese o anche solo l’unità del racconto della nostra terra e del mondo intero – non è mai il
fatto di un momento, un conseguimento puntuale e definitivo, ma è un
processo che si sviluppa e che continua. Tra luci e ombre. E – se abbiamo abbastanza carità, abbastanza speranza e abbastanza fede – perché le luci arrivino a sovrastare sempre di più le ombre.Per sentirsi davvero uniti, bisogna avere il senso di far parte di un popolo e di una storia. È davvero così banale, oggi, dirlo? C’è chi lo pensa e chi lo proclama. Noi no. Perché viviamo un tempo duro, nel quale si dice troppo poco ciò che pure andrebbe detto, ridetto e ripetuto, trasmettendo il senso e la bellezza di ciò che davvero vale. Perché fioccano, invece, le incresciose controtestimonianze di chi crede di poter negare e strappare le nostre radici profonde o magari pensa di trasformare la ricca e articolata «identità» degli italiani in invettive che dividono. No, l’identità – quella vera, sostanza di secoli, di fede, di cultura e di vita – è ciò che ci permette di essere uniti. E ciò che ci dà la forza, e quasi ci impone, di progettare il futuro.Sarà, insomma, giusto e bello se sapremo vivere questo 17 marzo come una festa grande, come una festa di tutti. E farne memoria come di un "giorno dei giorni". Dei giorni che sono stati e dei giorni che ancora verranno. Ma la memoria ha bisogno di segni. E visto che nessuna memorabile opera è stata progettata per ricordare questo anniversario, ci permettiamo di proporre (anzi di riproporre) un’alternativa. Si faccia del 2011 l’anno della grande riforma del fisco italiano, e finalmente lo si orienti – come promesso – al rispetto e al sostegno delle famiglie rimuovendo un’incredibile e a tutt’oggi strutturale ostilità verso chi si sposa e mette al mondo figli. L’Italia ha bisogno della sua gente, ridiamogliela anche con questo mezzo. Se una buona volta accadrà, avrà più senso sciogliere le campane a festa. Per gli anni passati e per quelli che abbiamo davanti.