I vescovi italiani dicono "grazie" alle famiglie italiane, tutte, nessuna esclusa, e ne amplificano la voce e le legittime attese: fisco davvero amico dei nuclei con figli, scuola buona e sicura, scelte coraggiose e non «sterili scontri» intorno al capezzale del lavoro ammalato, solidarietà e dignità per tutti e nessuna divagazione (e squassante "guerra") su matrimoni che matrimoni non possono essere...
Lo fanno di fronte alle promesse, agli annunci, alle azioni e alle inazioni della «politica», cioè di tutti coloro che "siedono al Governo e in Parlamento" e devono rappresentarci e lavorare per noi. Usiamo spesso questa formula su queste colonne, perché ci pare giusta e coinvolgente – nella chiamata a responsabilità – di ministri, deputati e senatori di ogni colore in una legislatura che è nata morta, perché senza maggioranze, ma è diventata – faticosamente eppure provvidenzialmente – laboratorio di un grande e necessario riequilibrio istituzionale e di un utile, possibile e per più di un motivo indispensabile cambiamento di stile e di facce. Un laboratorio che non può, dunque, essere fine a se stesso.Qualcuno l’ha già chiamata «ingerenza», come al solito, come se i vescovi d’Italia fossero cittadini della Luna e non di questo Paese. Qualcun altro «sferzata» o «bacchettata»... La verità è che le parole del documento finale del Consiglio Permanente della Cei d’autunno – che il vescovo segretario generale, Nunzio Galantino, ha interpretato ieri con lucidità e passione – rappresentano una sorta di atto di riparazione, compiuto anche per conto di tutti quelli che non riescono a vedere la radice di una crisi feroce che, qui da noi più che altrove, continua a fare male.Qualcuno, per la verità, vede e capisce e dice qual è la direzione per uscire dal pantano. Enrico Letta aveva individuato un percorso e, con pazienza da Cireneo, in condizioni pessime, l’aveva tentato. Matteo Renzi l’ha delineato e incominciato di slancio, decidendo di giocare la doppia carta dell’archiviazione della cosiddetta Seconda Repubblica e di una fattiva e persino frenetica «svoltabuona» su scuola, terzo settore e pubblica amministrazione e lavoro. Ma nessuno sembra vedere e capire che l’«uscita» non comincia sul serio se non si rompe un silenzio e non si apre una breccia su un fronte decisivo.A questo serve, esemplarmente, quel "grazie" alle famiglie italiane per ciò che stanno facendo, in maniera persino eroica, giorno dopo giorno, per se stesse e per «la tenuta sociale» del Paese (che vuol dire un elementare, primario, insostituibile «fare rete» per tenere testa a solitudine, miseria e disperazione). È un grazie che nessuno di quelli che hanno potere e dovere dice. Cosicché nessuno, poi, riesce mai a fare il logico passo successivo, anzi contemporaneo: indicare il giorno in cui comincerà (comincerà per davvero, perché è ovvio che di questi tempi non si farà tutta in una volta sola) la sospirata svolta verso un fisco finalmente amico della famiglia con figli, la più incredibilmente penalizzata oggi dall’insieme delle regole e follie che si sono andate stratificando in Italia.Beh, i nostri vescovi quel grazie lo hanno detto e ripetuto. E, facendo eco alla gente vera, che frequentano assai più di interi pezzi della classe dirigente, hanno ricordato che questo capitolo (con i suoi capitoli collegati) sta naturalmente in testa a un’agenda politica degna del momento che attraversiamo e delle occasioni che non possiamo sciupare.Mercoledì scorso, proprio sulle nostre pagine il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – all’interno di una bella, onesta e per diversi aspetti coraggiosa intervista – ha ammesso che la «svoltabuona» nelle politiche per la famiglia non è alle viste. Non è una risposta realista, è una risposta irrealista. Perché è da qui che si parte, se si vuole davvero «cambiare verso». Nessuno l’ha fatto sinora, e per vent’anni. L’Italia, tutti noi, ne sta pagando le conseguenze.