Il "nuovo" disoccupato, dice il Rapporto Istat pubblicato pochi giorni fa, «è un uomo fra i 35 e i 54 anni, abita al Centro-Nord, è sposato e lavorava nell’industria». E il tasso di occupazione dei padri di famiglia è calato in un anno di 107 mila unità; che significa nuove centomila famiglie all’improvviso in difficoltà, coi mutui e le bollette addosso, a fine mese, come spade di Damocle. L’idea del Prestito della speranza, fondato sulla colletta che si terrà domani in tutte le nostre chiese, è stata partorita dai vescovi italiani ben prima che l’Istat scattasse questa istantanea della crisi. La Chiesa, con la sua capillare rete di parrocchie e Caritas e associazioni, con il suo stare quotidiano in mezzo alla gente, s’accorge per prima delle povertà nascenti. Sono le dotazioni delle Caritas locali che finiscono prima del tempo; sono facce nuove, mai viste, un’ombra di vergogna addosso, nelle code delle mense per i poveri; sono il bisogno nascosto con pudore dei pensionati, o dei padri di famiglia umiliati – le mani improvvisamente inutili e vuote. Perché la crisi, se pure gli economisti e i grandi del mondo annunciano di scorgerne la fine, colpisce di coda. E sotto quel colpo finiscono accanto ai precari anche quegli operai o colletti bianchi che fino ad ora avevano davanti a sé un futuro sicuro, e alle spalle una famiglia. Privati terremoti in tante case in cui si viveva magari modestamente, ma senza ansie. E ora? I figli che vanno a scuola, e il mutuo? Attingere ai risparmi, fare la spesa con un altro sguardo – solo cose essenziali, e l’ansia, alla cassa, che i soldi non bastino. Sognare magari un colpo di fortuna, giocare i pochi soldi rimasti in tasca all’Enalotto – l’unica, povera speranza rimasta. È per queste famiglie, anello debole che la crisi rischia di sgretolare, che domani si domanderà aiuto nelle chiese. Per costituire un Fondo di solidarietà di 30 milioni di euro, a garanzia dei prestiti – fino a 180 milioni di euro in tre anni – che le banche aderenti all’iniziativa erogheranno a famiglie che abbiano perso l’unico reddito, con tre figli a carico oppure con un membro gravemente malato. 500 euro al mese, per due anni, da restituire con calma. Una mano tesa nel momento più buio. Perché anche questo è la Chiesa. Anzi questa è la sua essenza: essere prossima a chi è stato abbandonato, affermare la speranza quando tutto attorno sembra volerti spingere alla resa. Perché il mondo ignora e travolge quelli che non stanno al passo, che inciampano, che finiscono ai margini. La Chiesa, che è presenza di Cristo fra gli uomini, da sempre mostra ai caduti, agli ultimi, la sua tenerezza. Perché chi è spinto alle corde come un pugile sconfitto, è portato a disperare. E i cristiani non tollerano la disperazione. Non tollerano di sentire dire: è finita, non c’è più niente da fare. Ma contro la disperazione – quella privata, quella dei pignoratori alla porta, e delle mattine improvvisamente vuote e inutili, senza una fabbrica in cui andare – non bastano le parole. Occorre farsi prossimi. Occorre dire: ci sono io, ti aiuto. La carità, è l’eterno mestiere dei cristiani. Lo fanno da duemila anni. Da quando Paolo organizzava la questua per i poveri di Gerusalemme, e usava indifferentemente per quel momento sia la parola ' colletta' che ' benedizione' e ' liturgia'. Come a dire che quel dare era anch’esso preghiera: la fede e le opere, indissolubilmente legate. È lo spirito della colletta di domani: famiglie benestanti o almeno tranquille, che guardino al bisogno di famiglie impoverite e spaventate. Per dare, in questa Italia chiassosa, vociante e spesso distratta, un segno contrario: concreto e silenzioso. Un segno di speranza, di cui c’è bisogno.