Come si può definire altrimenti un testo che, in ben 33 pagine e 91 articoli, si imbarca nell’incomprensibile impresa di definire minuziosamente tutto ciò che concerne la generazione umana, la fertilità, la differenza sessuale, la contraccezione, l’interruzione di gravidanza, la fecondazione in vitro, l’organizzazione dei servizi abortivi, la pianificazione familiare, l’educazione sessuale e il ruolo della famiglia in materia?
Al termine di un’autentica battaglia in aula, sull’ostinazione dei sostenitori di questa ossessione normativa attorno a ciò che tocca più da vicino la definizione stessa della nostra umanità ha prevalso un’idea semplice quanto i tre paragrafi (in una smilza cartella di testo) della proposta alternativa lanciata dal Partito popolare, e alla fine vincente sul testo a firma socialista-liberale: quella secondo la quale «la formulazione e l’applicazione delle politiche in materia di salute sessuale e riproduttiva e relativi diritti nonché in materia di educazione sessuale nelle scuole è di competenza degli Stati membri».
Sul filo di lana l’Europa ha deciso di restare fedele a se stessa, di rinunciare alla pretesa di riscrivere la natura umana – risoluzione dopo direttiva, dopo programma quadro – e di richiamare in servizio lo spirito dal quale è nato il suo sogno di unità tra i diversi. Ricordando anzitutto a se stessa che rispetto all’ansia dirigista in territori decisivi come la vita, l’educazione e il ruolo della famiglia deve avere la meglio quel che prescrive la legge e la cultura di ciascuno Stato membro, non ha fatto altro che ripassare il principio di sussidiarietà che ai padri fondatori era talmente chiaro da costruirci sopra l’intero edificio comunitario.
Un Parlamento europeo che avesse negato questa verità costitutiva avrebbe legittimato l’azione centrifuga delle troppe forze che lavorano a lacerare l’Unione nel nome di infinite pretese di fazione, di lobby o di bandiera. La voce troppo spesso fioca dell’Europa quando si tratta di pesare le ragioni e l’autorevolezza sulla scena globale si spiega anche con questo inavvertito logoramento culturale, al quale è stato posto un primo argine. Ecco perché il voto di ieri, per quanto risolto al fotofinish, segna un passaggio di straordinario rilievo: una risposta inattesa a chi si stava convincendo di poter avvolgere nella bandiera blu a stelle ogni genere di individualismo senza incontrare praticamente resistenza; e insieme l’incoraggiamento a quanti pensano che non vale la pena battersi per le idee in cui si crede, credendosi sconfitti in partenza. Invece la vita sa ancora vincere, se ci crediamo.