Felicità sono quindici datteri. Buoni. Dolci. Profumati. Sapore di casa. Di terre lontane. Lasciate per emigrare tanti mesi fa e dove si teme di non tornare più. Penso a questo mentre distribuisco decine di sacchetti coi 15 datteri e una cioccolata alle persone ospitate nella tensostruttura del porto di Roccella Jonica. Li hanno preparati i volontari della Caritas della Diocesi di Locri-Gerace e gli scout. E ora alle dieci di sera a portarli è la direttrice della Caritas, e scout, Carmen Bagalà, assieme al volontario Francesco, a don Lorenzo Santoro, assistente spirituale della Caritas e a don Giovanni Armeni, direttore del Servizio pastorale giovanile. Una notte da ricordare. Gli immigrati sorridono, ringraziano gentilmente. “Thank you”, “Salam aleikum”, cioè “la pace sia con voi”.
Alcuni sono già sulle brandine, arrotolati nelle coperte. I compagni li svegliano e ancor più li sveglia la vista e il profumo dei datteri. Non è solo sapore di casa. Ma anche fame. E freddo. Mangiare scalda, ancor più se il cibo ricorda la propria terra. Scalda il cuore e anche lo stomaco. Troppo vuoto per giovani come loro. Sono afghani, siriani, pakistani. Sono 250, una parte dei 1.500 giunti nello scorso fine settimana a Roccella. Li osservo bene. Osservo bene questa umanità in fuga. Non ci danno l’assalto mentre distribuiamo i datteri e poi anche altre coperte (fa molto freddo). Si mettono in fila, come hanno imparato da mesi nella loro nuova vita da profughi, da gente in cammino. Non urlano, non pretendono.
Accettano questa nuova condizione. La rispettano. Ancor più se incontrano chi li rispetta. Anche con piccoli gesti, gesti di solidarietà e amicizia, come i quindici datteri portati di notte dai volontari. Siamo nel periodo del Ramadan e tradizionalmente, i musulmani rompono il digiuno proprio mangiando datteri. Menzionati nel Corano, sono considerati un frutto del paradiso, un frutto miracoloso. Davvero basta poco per rendere più accogliente l’accoglienza. Per donare dignità. La gente calabrese, come abbiamo scritto più volte, lo ha dimostrato e lo sta dimostrando. Dai rappresentanti dello Stato a quelli delle istituzioni locali, dagli uomini delle forze dell’ordine ai volontari. Un’unica squadra affiatata.
Amici tra loro, per essere amici di chi arriva sui barconi. Così questa notte i volontari hanno portato caffè caldo e bottigliette d’acqua per i quattro poliziotti che sorvegliano l’ingresso dell’area. Piccoli gesti. Purtroppo altri ne mancano. Quelli di un governo che finalmente veda e capisca quello che sta accadendo qui, che metta in piedi strutture di accoglienza, con uomini e mezzi sufficienti. Invece gli annunci sono ancora una volta solo securitari: impedire, bloccare, controllare, respingere. L’effetto della strage di Steccato di Cutro dopo poco più di un mese sembra svanire.
Non qui in Calabria, su queste coste, in questa terra dove gli sbarchi continuano e non fanno paura, ma mobilitano. La presidente Meloni non ha voluto visitare il palazzetto dello sport di Crotone con le decine di bare di chi non ce l’aveva fatta. Se vuol davvero capire il fenomeno migratorio, e prendere decisioni giuste e umane, torni in Calabria, venga nel porto di Roccella, incontri chi ce l’ha fatta, parli con loro, ascolti richieste e speranze. E magari porti un po’ di datteri.