domenica 23 giugno 2024
L'artista, lontano dai riflettori, ha cantato per un'adolescente malata grazie all'intervento dell'associazione Make a Wish
Il cantautore Ultimo

Il cantautore Ultimo - ANSA

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La notizia è di qualche giorno fa. Chiara, un’adolescente lombarda, è affetta da una grave patologia che la costringe tutto il giorno sulla sedia a rotelle: completamente paralizzata, riesce a muovere soltanto gli occhi.

Aveva un grande sogno: che Niccolò Moriconi, in arte Ultimo, cantasse per lei Piccola stella, la sua canzone preferita. L’associazione “Make a Wish” l’ha finalmente esaudito, portandole a casa il giovane artista che l’ha cantata davanti a lei. Dico il sentimentale Ultimo: ma anche il cantante iper-tatuato e con quell’aspetto da bad boy che i bravi e poco informati padri di famiglia riterrebbero, per i loro figli, una frequentazione poco raccomandabile.

Lode al concreto e fattivo Ultimo, allora: che, col suo atto di bontà eseguito senza clamore (e forse senza nemmeno rendersene conto), ha smentito due ricorrenti atteggiamenti, parimenti cinici, di questi nostri anni.

Il primo: la retorica del buonismo di certi personaggi pubblici, che non ha nulla a che vedere con la generosità e l’esercizio della virtù, ma ne è l’antipode.

Il secondo: il nichilismo compiaciuto di larga parte della società culturale non solo italiana che ha fatto della Bontà una virtù negletta, se non assai disprezzata. La più tenace delle idee correnti considera la persona buona un ingenuo, se non un totale idiota. Credo che il discorso sia molto serio: e vada fatto senza illusioni.

Vi chiedo: c’è un secolo che più del Novecento – quello di due guerre mondiali, delle bombe atomiche, dell’olocausto e dei gulag – abbia conculcato e oltraggiato la Bontà? Dico il Novecento. Che ha proprio nella distruzione di tutti i valori il suo cuore pulsante: quello vaticinato da Nietzsche e rilanciato da Heidegger come verità terminale dell’Occidente, o celebrato dal Sartre di L’Essere e il Nulla infine contratto nei micidiali e disperati aforismi di Cioran. Il Novecento dell’indifferenza e dell’alienazione, del dramma dell’incomunicabilità diversamente patito da Moravia, Camus e Beckett, ma senza dimenticare quella sorta di precocissima fenomenologia dell’assurdo che muove da Pirandello per deflagrare in Ionesco. Un nichilismo che, democratizzandosi ha infine trionfato consumisticamente in una sorta di epopea della merce, che non ha risparmiato nemmeno lo spirito.

Saremo mai in grado di trovare un vaccino per tutto questo? Ovviamente la soluzione non sta in una laudatio del caro tempo che fu e nell’impossibile recupero di quei valori. Io credo però che non sia finita: e che l’Occidente abbia ancora molti anticorpi nella sua multanime tradizione. Dostoevskij lo fa dire al protagonista del suo romanzo L’idiota, un uomo che pensava sinceramente di essere l’ultimo dei reietti: « Bisogna avere il coraggio di essere felici». Là dove la felicità coincideva proprio con l’esercizio radicale e disinteressato della Bontà. Si tratta in effetti del candore di quel personaggio di Sciascia – molto più che di Voltaire – che gli arrivava da un certo Pirandello, in cui Massimo Bontempelli riconosceva ancora vivo una specie di cristianesimo naturale.

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