Chi c’è dentro i barconi che sono arrivati e verosimilmente continueranno ad arrivare a Lampedusa? Ci sono anzitutto persone, con il carico di tutta la loro ineliminabile dignità. Persone in fuga dal caos che regna in Tunisia e in cerca di miglior fortuna prima di tutto nel nostro Paese, l’approdo geograficamente più vicino, ma che probabilmente hanno in animo di trovare una sistemazione definitiva anche altrove, per esempio in Francia. Persone consapevoli di correre il rischio della vita in quel tratto di Mediterraneo divenuto da tempo un cimitero marino, come le notizie arrivate in queste ore tragicamente confermano. Per questo, l’approccio anzitutto umanitario che le autorità italiane stanno adottando in queste ore – e che cerca di coniugare accoglienza e legalità – appare il più ragionevole e lungimirante.Passando dall’enunciazione dei principi alla loro attuazione operativa, è evidente che ci vorrà del tempo per verificare chi ha diritto a ricevere una protezione umanitaria (che dovrà comunque avere carattere temporaneo, per evitare un effetto di richiamo già sperimentato in altri frangenti), chi può ottenere lo status di rifugiati, quanti sono evasi dalle patrie galere, quanti sono stati infiltrati dalle reti del terrorismo internazionale. A scanso di equivoci, è bene ribadire che le mele marce vanno al più presto individuate ed eliminate, ma la loro presenza non può diventare un alibi per mettere in atto respingimenti collettivi o per operazioni di rimpatrio indiscriminato che configgono con il diritto internazionale e con la stessa tradizione giuridica italiana. Si valuti caso per caso, dunque, rispettando la dignità dei singoli e mai dimenticando che stiamo parlando di persone e non di numeri.Non si può peraltro sottovalutare che l’Italia si trova in una condizione particolarmente esposta soprattutto a motivo della sua dislocazione geopolitica, ma non è in condizione – come non lo sarebbe nessun altro Stato – di affrontare un flusso migratorio epocale collegato al processo di destabilizzazione che coinvolge tutto il Nordafrica.Proprio per questo, la Ue deve muoversi con il tempismo e con i mezzi che questa emergenza (per molti aspetti inedita) richiede, uscendo dalla latitanza che l’ha fin qui contraddistinta. In attesa di interventi significativi da parte della Commissione sul piano economico e logistico – sollecitati ieri per l’ennesima volta dal nostro governo –, possiamo intanto salutare positivamente la decisione dell’Europarlamento di affrontare nella sua plenaria di oggi pomeriggio l’emergenza sbarchi.Infine, per avere un quadro completo dello scenario che si va delineando, è bene allargare lo sguardo e tenere presente che la Tunisia rappresenta il trampolino per le moltitudini che vogliono lasciarsi alle spalle i tanti 'vulcani' che in Nordafrica stanno eruttando lapilli sociali e politici. In pochi giorni sono arrivati più di cinquemila tunisini in fuga dal caos del dopo-Ben Ali, altri certamente li seguiranno. Non solo dalla Tunisia: anche dall’Egitto che dopo l’euforia della ribellione al faraone Mubarak fa i conti con un potere (per quanto tempo transitorio?) che ha sospeso la Costituzione e sciolto il Parlamento; anche dall’Algeria dove si protesta contro fame e carovita e si chiede più libertà e democrazia. E qualcuno prevede anche da altre regioni… Dentro l’onda lunga che dal Nordafrica arriva in Italia convivono, come si vede, tante e diverse componenti. E l’effetto domino scatenatosi sulla sponda meridionale del Mediterraneo investirà sempre di più massicciamente anche quella settentrionale. L’Italia non può sottrarsi alle sue responsabilità, che in questo frangente sono soprattutto umanitarie, l’Europa deve battere al più presto un colpo per condividere questa responsabilità.