C’è l’eco delle grandi encicliche sociali del post-Concilio nel discorso con cui ieri mattina Francesco ha accolto in Vaticano il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, e i membri del consiglio dei capi esecutivi per il coordinamento delle Nazioni Unite. L’eco della
Populorum Progressio, in cui Paolo VI afferma che «lo sviluppo è l’altro nome della pace». Ma anche della
Centesimus Annus, in cui all’indomani della caduta del Muro di Berlino, Giovanni Paolo II ricorda che anche l’economia di mercato deve porsi sempre al servizio dell’uomo (e non viceversa). L’eco, infine, della
Caritas in veritate di Benedetto XVI, con la sua profetica indicazione di un’economia del dono e di una globalizzazione della solidarietà.Francesco riprende tutti questi spunti e li ripropone secondo il suo stile, presentando ai vertici del Palazzo di Vetro non una teoria economica, ma un’icona evangelica. Quella di Zaccheo, "collega" ante litteram di tanti spregiudicati operatori economici odierni. Un anacronismo? Un parallelo improprio? Niente affatto. Il Papa va anzi alla reale radice dei problemi. Quanti Zaccheo ci sono oggi nel mondo? Quanti banchieri, imprenditori, broker e operatori di mercato agiscono solo per massimizzare i profitti e ridurre le perdite, infischiandosene delle conseguenze etiche della loro azione? Per l’esattore delle tasse di 2000 anni fa (che più o meno si comportava alla stessa maniera) la prospettiva, però, muta quando incrocia lo sguardo di Gesù. E allora, ricorda il Papa ad un mondo spesso tentato di guardare in altra direzione, solo l’incontro con Cristo apre gli uomini alla solidarietà. Non c’è neanche bisogno di cambiare mestiere. I tanti Zaccheo del terzo millennio possono anche continuare a fare le loro professioni. Ma secondo regole eque. Ed ecco, dunque, che dall’icona evangelica discendono conseguenze assai concrete. Quando Francesco chiede «una vera mobilitazione etica mondiale», indica l’unica strada possibile per far compiere ai futuri obiettivi dello sviluppo sostenibile fissati dall’Onu quel necessario salto di qualità che permetta di arrivare a «incidere sulle cause strutturali della povertà e della fame». È in altri termini la sola strada che porta a conseguire risultati sostanziali in materia di preservazione dell’ambiente, di lavoro per tutti e di protezione della famiglia, «elemento essenziale – sottolinea significativamente il Pontefice – di qualsiasi sviluppo economico e sociale sostenibile».Non solo ambiente e lavoro, dunque. Ma anche e soprattutto famiglia. Un accostamento di elementi che non è così scontato (e neanche frequente) ritrovare nei documenti elaborati in questa materia a livello internazionale. Nel magistero di Papa Francesco, invece, si tratta di un collegamento basilare e naturale, che costituisce anche il suo personale contributo all’evoluzione della Dottrina sociale della Chiesa. È infatti di palese evidenza, leggendo il discorso di ieri, che nella visione del Pontefice le questioni morali e quelle economiche sono intimamente connesse e rimandano ad una antropologia di riferimento che pone al centro di tutto la «dignità» di ogni persona, la «cui vita è sacra e inviolabile dal suo concepimento alla fine naturale». Qui è anche la base di ogni indispensabile solidarietà, la radice di ogni possibile redistribuzione di beni che elimini l’odiosa distinzione tra un’umanità ricca di "serie A" e una moltitudine di diseredati di "serie B". In definitiva, ribadisce il Papa, l’antropologia basata sulla inalienabile dignità della persona è il rimedio a tutte le forme di ingiustizia che sfociano nell’«economia dell’esclusione», nella «cultura dello scarto e della morte». Zaccheo sta lì a testimoniarlo. Ai suoi colleghi di duemila anni dopo basta scendere dal sicomoro del profitto a ogni costo per emularlo.