Alzi la mano chi sentiva il bisogno di uno sponsor "vietato ai minori" per le nostre squadre nazionali di pallone. Qualcuno ci sarà pure, figuriamoci. Ma anche i più tenaci contestatori dell’attuale presidente della Federcalcio avrebbero stentato a credere che sarebbe stato Carlo Tavecchio in persona a negoziare, stringere, promuovere e propagandare questa inconcepibile scelta. E che lo avrebbe fatto, come in effetti ha fatto, scomodando parole grosse e concetti scintillanti come «affinità di valori» e «cultura della legalità».
Eppure è accaduto proprio questo. E l’ultimo azzardo – mai termine è stato più azzeccato – del signor Tavecchio e dei suoi collaboratori lascia letteralmente senza fiato. Lo sponsor "vietato ai minori" si chiama Intralot – è un gigante nel settore delle scommesse e si sta insignorendo anche di quello delle slot machine (le famigerate "macchinette" mangiasoldi) – e d’ora in poi, secondo i vertici della Federcalcio, potrà occhieggiare negli allenamenti (tanto quanto nei pre e dopo-partita) ed entrerà in campo con tutte le maglie azzurre disponibili: dall’Under 15 alla Nazionale maggiore.
Finiscono sotto il marchio di Azzardopoli campionissimi, aspiranti "numeri uno" del nostro mondo pallonaro e persino giovanissimi calciatori (ragazzi di 15, 16, 17 anni che non possono e non devono neanche accostarsi al sito di Intralot e non possono comunque entrarci). Loro, gli azzurri e gli azzurrini, continueranno ovviamente a fare sport (o a sognare di farlo) a livello di eccellenza, ma si ritroveranno come in un incubo anche a fare spot per il grande affare che svuota le tasche di tanti (soprattutto tra i più poveri), alimenta la piaga dell’usura, diffonde malessere sociale e distrugge salute e ricchezza di persone, famiglie e imprese.
Un’«industria del niente» che in Italia era stata tenuta sotto controllo per decenni, ma che negli ultimi quindici anni con la scusa di contrastare l’azzardo illegale (che invece, come dimostrano inchieste e condanne giudiziarie e report della Banca d’Italia, usa anche quello legale) è stata sfrenata, incentivata e protetta sino a trasformarla nella terza attività economica del nostro Paese (nel 2015 solo la sua parte legale ed emersa ha mosso circa 88 miliardi di euro). Ormai siamo primi in Europa e terzi a livello mondiale. Qualcosa di cui possono andare fieri solo i teorici, gli strateghi e gli approfittatori di uno Stato complice della mentalità e dell’inciviltà delle nuove e vecchie bische e a sua volta biscazziere.
Non sappiamo, e non vogliamo neanche immaginare, con quanti e quali lacci e lacciuoli sia stata stretta l’intesa tra la Federcalcio e Intralot, lo sponsor "vietato ai minori", ma vogliamo credere che possa essere sciolta. Anzi, sappiamo che deve essere sciolta. Con tutta la possibile rapidità.
Vogliamo credere che ci sarà una protesta che lo imporrà, e una buona informazione che renda palese e insostenibile lo sfregio allo sport e agli sportivi rappresentato dalla insensata scommessa dell’abbinamento Nazionali di calcio-Intralot. Vogliamo credere che l’intesa verrà denunciata e smontata, anche solo per lo spregiudicato aggiramento dei troppo pochi e troppo bassi argini oggi posti all’azzardo e alla sua pubblicità. Vogliamo, insomma, credere che il rinsavimento e la riparazione del marchiano errore avverrà per un soprassalto di responsabilità e – se proprio nessun altro vorrà fare ciò che deve e che è giusto – per un solenne "cartellino rosso" alzato dall’arbitro, se ancora c’è un arbitro in questo Paese.
Ma serve comunque, e con urgenza, l’ingresso in campo di un arbitro politico, che si dimostri in grado di impedire che i padroni di un "gioco che gioco non è" e che perciò, almeno sulla carta, è rigorosamente "vietato ai minori" mettano definitivamente e solennemente le mani sul calcio azzurro, la quintessenza dello sport più amato dagli italiani che è, ovviamente, seguito da tutti, grandi e piccini. Non ci si può proprio rassegnare a questo azzurro vergogna. E non può durare.