La Banca centrale europea nel bollettino d’agosto (diffuso ieri), sostiene che la crisi economica è a «un punto di svolta». La recessione avrebbe toccato il fondo, mentre i segnali di ripresa, seppur ancora timidi, si vanno moltiplicando. I più significativi vengono da Germania e Francia, pilastri dell’edificio continentale: i «conti» dei due Paesi, a sorpresa, nel secondo trimestre dell’anno, e dopo quattro periodi consecutivi di ripiegamento, registrano a sorpresa un mutamento di tendenza. Concretizzatosi in una crescita del Pil, fra aprile e giugno, dello 0,3%. Un antico e saggio proverbio contadino sostiene che «non è una rondine a fare primavera». Quindi ogni ottimismo sarebbe prematuro, e non è ancora venuto il momento di suonare il cessato allarme. Il Pil (prodotto interno lordo) di ogni Nazione è, inoltre, il risultato di calcoli estremamente complessi su prezzi, salari, consumi, gettito fiscale, investimenti, export-import che, come spesso è accaduto, può comportare errori. Tuttavia la sensazione che il peggio sia alle spalle si va diffondendo a macchia d’olio. Permangono una minore propensione ai consumi (vacanze più brevi, a esempio), una generalizzata flessione dei prezzi con l’azzeramento dell’inflazione a luglio: evento che non si registrava dal 1959, cinquant’anni fa! (Non dimenticando: si trattò della stagione che propiziò il cosiddetto «miracolo economico», in Italia e nell’intero Occidente).Attenzione a scambiare lucciole per lanterne, però. Per questo gli economisti, cui si imputano, non a torto, i gravi errori di previsione passati, mostrano più prudenza e discrezione. Pur in presenza di una serie di segnali incontrovertibili: il forte rimbalzo delle Borse e dei prodotti petroliferi; il risanamento delle principali banche; il ritrovato ancorché discutibile dinamismo finanziario che purtroppo sembra avere risvegliato tentazioni speculative. E in Italia? Al momento, Ferragosto 2009, i nostri «numeri buoni» paiono in qualche ritardo, rispetto a Francia e Germania, guardando al Pil; migliori, osservando il debito pubblico, che a giugno è sceso, sia pure di un’inezia: lo 0,03. Potrebbe significare che l’amministrazione pubblica si sia fatta davvero più rigorosa, come sostengono esponenti del governo. Giudizio prematuro, ma nemmeno da liquidare con un’alzata di spalle. C’è chi afferma che la recessione è sbarcata nella penisola in ritardo. Constatazione suffragata dalle analisi statistiche comparate. Il che spiegherebbe perché stiamo ancora subendo l’onda lunga della crisi, allungando di conseguenza i tempi del recupero.D’altra parte, polemiche a parte, alcuni elementi positivi si possono vedere. In Italia, nessuna banca è fallita o è stata salvata attraverso forme mascherate di nazionalizzazione, come in Usa, Germania, Francia, Gran Bretagna. Il settore immobiliare, pur azzoppato, regge. La Fiat ha acquisito la statunitense Chrysler e solo il caparbio nazionalismo teutonico le ha sbarrato la strada della Opel. L’Eni si è rivelato un gioiello del felice matrimonio pubblico-privato, e con la Russia ha concluso accordi di gasdotti dai vasti orizzonti. L’Enel è una multinazionale dell’energia dal respiro intercontinentale. Tutti esempi che lasciano ben sperare. Non romanticamente gettando il cuore oltre gli ostacoli, bensì in virtù delle prospettive industriali e di sviluppo che si delineano, superando le nebbie della recessione. Ma questa è la faccia «positiva» dei mesi che viviamo. Altri pesanti dubbi e interrogativi restano. E per l’autunno c’è chi vede strascichi sociali dolorosi, specie nel delicato terreno dell’occupazione. È quindi essenziale che il Governo, dopo aver garantito la solidità dei pilastri (banche, grandi aziende, contenimento della spesa pubblica), rassicuri il microtessuto produttivo, i posti di lavoro. Quel che è avvenuto alla Innse di Milano, con la decisiva mediazione del prefetto Lombardi e la disponibilità ell’industriale bresciano Camozzi, è un esempio che potrebbe fare scuola.