In un leggendario
cartoon degli anni Trenta, un gallo, una volpe e un astuto serpentello si danno vicendevolmente la caccia inseguendosi forsennatamente senza mai raggiungersi, tanto da non riuscire più a capire chi stia fuggendo e chi sia il cacciatore. Il caso greco ci fa pensare a qualcosa di analogo. È vero, ieri la
troika – intesa come Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale e Unione Europea – riunita a Lussemburgo per esaminare il piano di abbattimento del deficit ellenico ha sostanzialmente confermato l’intenzione di predisporre un prestitobis (valore stimato: non meno di 60 miliardi di euro), da aggiungersi a quello storico da 110 miliardi; è vero anche che ad Atene è stato offerto ossigeno finanziario fino al 2014, un anno in più rispetto agli accordi precedenti e un supporto indispensabile per far fronte ai titoli in scadenza (26,7 miliardi nel 2012, 37,9 nel 2013, 67,2 nel 2014); ed è pur vero che sulle banche creditrici si sta facendo qualcosa di più che una
moral suasion per convincerle a mantenere "volontariamente" la loro esposizione nei confronti della Grecia rinnovando le obbligazioni in scadenza, soprattutto su quelle tedesche, che sono maggiormente esposte nei confronti di Atene e che da un
default, la bancarotta dello Stato, avrebbero tutto da perdere. In altre parole, saranno anche i privati a pagare il salato conto di Atene.Tutto ciò però non cessa di suscitare molte perplessità. Innanzitutto per la lunga gestione del piano di salvataggio, che ha visto di volta in volta Francia e Germania cercare di prevalere e di imporsi sulla ricetta da seguire senza a che a livello europeo – dell’eurozona, almeno, il club di 17 nazioni guidate dal lussemburghese Jean-Claude Juncker che hanno adottato la moneta unica – vi fosse una visione univoca. Non ha torto in questo senso il presidente uscente della Bce Trichet quando reclama la necessità di un ministero delle Finanze dell’Unione Europea, unica risposta possibile – forse – alle tempeste speculative che si abbattono sui singoli Stati membri: con un mercato unico, una moneta unica e una banca centrale, perché non immaginare – dice – un unico arbitro delle finanze europee?Ma quella di Trichet è un’utopia per ora certamente lontana. I casi greco, portoghese, irlandese viceversa ci stanno insegnando che i meccanismi di salvataggio, ancorché generosi, da soli non bastano. A inseguire il gallo del debito c’è la volpe della speculazione, cui mette le ali il serpentello infido delle società di
rating.Già, perché platealmente indifferenti alle ingegnose manovre di ristrutturazione dei debiti sovrani da parte di governi e istituzioni internazionali, ai tortuosi piani di taglio della spesa, alla consapevole impopolarità che certe scelte dolorose – come le privatizzazioni e i tagli all’occupazione – innescano nell’opinione pubblica, le varie Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch abbattono a colpi di scure ogni illusione facendo spietatamente strame di titoli, istituti di credito (otto banche elleniche punite da Moody’s subito dopo aver declassato il debito greco da B1 a CAA1, che nell’esoterico slang delle società di
rating vuol dire: «attenzione, titoli spazzatura»), quasi che la caccia al declassamento fosse l’unica ragione sociale della loro esistenza.In altre parole, il meccanismo fin qui sperimentato da Bce, Fmi e Ue si rivela incapace di far fronte pienamente all’assalto speculativo e a quell’autentica spina nel fianco che sono le pagelle delle agenzie. Ai cui verdetti si attacca fulminea la speculazione internazionale, pronta a colpire là dove s’individua una qualunque zona di debolezza.Ciascuno, come si vede, dà la caccia all’altro, in un balletto interminabile (sia detto per completezza: alla fine il gallo annega, la volpe incappa in una tagliola e il serpentello finisce in bocca a un corvo. Ma quella è una favola, a suo modo, morale).