domenica 3 agosto 2014
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Adolescenti, frequentavamo lo stesso gruppo di amici convinti di poter cambiare il mondo. Come succede spesso, le strade poi si divisero, ognuno imboccò la sua e ci perdemmo di vista. Michele intanto si era laureato in lettere classiche; io, dopo gli studi, avevo preso a lavorare in ospedale. Lui, inoltre, era un buon pittore. Riusciva, con poche pennellate, a trasferire sulla tela emozioni, sensazioni, desideri, a volte giocando sulle sfumature di un colore solo. Alto, simpatico, accattivante, sapeva sempre far colpo sulle ragazze. Di peccati nella vita se ne fanno tanti, poche volte, però, ho sentito il bisogno di confessare quello dell’invidia. Non so perché – una grazia particolare? – ma questo cane rabbioso non è quasi mai riuscito ad addentarmi. Ho detto 'quasi' perché Michele, con il successo che lo accompagnava, qualche volta a quel cane mi fatto pericolosamente avvicinare. Così di striscio, però, e per un momento solo... Ci ritrovammo un giorno, tanti anni dopo, eravamo ormai uomini. Io, dopo aver rinunciato al lavoro in ospedale, ero diventato prete.  Michele insegnava le materie che lo avevano da sempre affascinato. Felicemente innamorato, era fidanzato da anni, ma qualcosa si ruppe nella coppia e il matrimonio cui teneva tanto non fu mai celebrato (anche se la donna che tanto aveva amato gli è rimasta nel cuore). Preferiva camminare a piedi, gentile, premuroso e con le mani sempre piene di giornali, riviste, libri. Qualche anno fa, Michele fu colpito da una rara e grave malattia. Pian piano è andato perdendo l’equilibrio della persona e l’uso della parola. Ha cominciato a barcollare. Sempre di più, fino al punto di non essere più completamente indipendente.  Le nostre giornate sono sempre brevi e gli impegni veramente tanti: non sempre si riesce a fare ciò che si vorrebbe. Tutti, però, hanno diritto di bere alla nostra fonte, anche quando l’acqua è poca e noi, arsi dalla sete, temiamo di rimanere a secco. È donando che si riceve.  Che strana matematica conosce il Vangelo di Gesù Cristo. Più doni a piene mani, più diventi ricco. Più ti fai egoista e avaro tanto più ti ritrovi la sera con i pugni vuoti. È morendo che si risorge a vita eterna. Ciò che bisogna fare, insomma, va fatto. Il tempo deve essere trovato.  Decido, perciò, di prendermi mezza giornata di 'ferie': da parecchio tempo non vedo il mio vecchio amico e so che lui mi aspetta. Vado. Lo trovo, questa volta, su una sedia a rotelle. Non cammina più e la parola gli si è fatta incomprensibile.  Farfuglia. Balbetta. Biascica. Gli occhi, però, sono rimasti quelli di sempre: grandi, luminosi, bambini. È contento.  «Raccontami», dice. Inizio a farlo, mentre alzo le sue gambe sulle mie ginocchia. Lui trema. Tanto. Mi ritornano in mente le parole di Gesù a Pietro: «Simone, Simone quando eri giovane ti cingevi e andavi dove tu volevi, quando sarai vecchio qualcun altro ti cingerà e ti porterà dove non vorresti…». Michele non ha aspettato la vecchiaia per dipendere da chi gli vuole bene. Lo guardo.  È sereno. Sua mamma gli tiene compagnia, durante la giornata poi vengono i fratelli, le sorelle, gli amici. Tante domande mi affollano la mente. Perché, Signore? Perché il dolore è entrato in questo mondo? Perché è successo a Michele e non a me?  Ognuno ha una sua storia. Unica, irripetibile, a volte incomprensibile. Per ognuno è tracciato un sentiero di cui si intravede solo un tratto. A anche se si sa dove conduce, a nessuno è concesso di poter veder lontano.  «La tua parola è lampada ai miei passi, luce sul mio cammino…». Lampada, appunto, non faro. Fioca lampada a olio, non sole che risplende a mezzogiorno.  Guardo il mio amico e mi ritrovo a farfugliare un pensiero scritto tempo fa: «Non chiedere di campar cent’ anni. Respira forte il giorno che ti è dato. Quando vien sera e il sole si raffredda, dona ogni cosa al Padre della vita. Poi, sereno, poggia sul suo cuore il capo... e dormi». Siamo ad agosto, il mese dello svago e del meritato riposo. Michele non andrà in vacanza. Come lui tantissime persone ammalate, anziane, povere saranno costrette a rimanere a casa. Non lasciamole sole.  Ovunque ci troviamo, cerchiamo di rubare alla tirannia del tempo un’ ora, un’ ora sola, e corriamo a tener loro compagnia. Daremo alla gioia un’ altra possibilità di espandersi nel mondo e di contagiare gli uomini.
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