Un segno importante dei tempi che cambiano: la revisione della famosa sentenza Roe v. Wade con cui nel 1973 l’aborto è stato reso legale negli Usa, impensabile fino a qualche tempo fa, adesso è possibile. Una fuga di notizie ha reso pubblica una bozza di parere della Corte Suprema americana, scritta dal giudice Samuel Alito, che potrebbe avere la maggioranza dei voti. Duri i toni di alcuni stralci trapelati, che svelano un giudizio netto: «Roe aveva terribilmente torto fin dall’inizio», «Riteniamo che Roe e Casey (altra sentenza pro-aborto del 1992, ndr) debbano essere annullate », «È tempo di dare ascolto alla Costituzione e restituire la questione dell’aborto ai rappresentanti eletti del popolo».
Da quanto si legge, quindi, se approvata nella forma attuale, la sentenza dovrebbe lasciare ai singoli Stati la possibilità di legiferare sull’aborto. Per la prima volta si prospetta quindi la realistica e concreta possibilità di ridiscutere la legittimità federale dell’aborto, ritenuta da tempo una sorta di pietra miliare dei diritti individuali. E anche il modo con cui la notizia è stata resa pubblica costituisce un inedito: mai prima d’ora era stata data un’anticipazione del pronunciamento della Corte Suprema americana, mai era stata violata la riservatezza e la sicurezza dei giudici federali.
La sola possibilità di un ripensamento in merito all’aborto è di per sé un fatto epocale. Non si tratta di 'tornare indietro' nel tempo, ma di andare avanti cambiando direzione per rimettere al centro il diritto umano basilare e universale per eccellenza: il diritto alla vita per ogni donna e ogni uomo, in ogni condizione e in ogni fase dell’esistenza. Sappiamo che, nel bene e nel male, gli Usa hanno sinora fatto da apripista per orientamenti culturali e valoriali in Occidente e nel mondo intero: guardare il presente americano è un po’ come vedere nel nostro futuro. Siamo a una svolta? La prudenza è d’obbligo. Innanzitutto la messa in discussione della storica sentenza va contestualizzata nel dibattito statunitense: al centro, le polemiche tutte politiche sulla Corte Suprema – e non è la prima volta, a proposito di questo tema –, e quindi sulle modalità con cui vengono designati i componenti che, sappiamo, sono in carica a vita.
La fuga di notizie, poi, cade alla vigilia delle elezioni di metà mandato presidenziale, nel novembre prossimo: i sondaggi danno in difficoltà l’attuale presidente democratico Joe Biden. E, infatti, la questione sta entrando di slancio nella campagna del suo partito, largamente pro-choice, a favore cioè del diritto di scelta assoluto della donna. Il rischio, fortissimo, è che il dibattito sia condizionato pesantemente dall’appuntamento elettorale, esacerbando gli animi e radicalizzando le posizioni, anziché favorire una sana riflessione nel merito. La fuga di notizie potrebbe anche essere stata orchestrata proprio per evitare una svolta storica, sia creando un clima ostile alla Corte Suprema sia distogliendo la campagna elettorale dai problemi economici e di politica estera degli Usa. Va poi ricordato che in tutto il mondo si sta procedendo a grandi passi nella direzione di una privatizzazione dell’aborto, con la diffusione sempre maggiore del metodo farmacologico. Complice anche la pandemia, le procedure sono sempre più nella direzione del fai-da-te, arrivando anche alla consegna domiciliare dei prodotti abortivi: l’aborto viene sempre meno praticato nelle cliniche, e sempre più affidato direttamente alle donne, a casa.
Le leggi restrittive sull’aborto vanno nella direzione di limitarlo alle prime settimane di gravidanza: un fatto sicuramente positivo, se pensiamo alla possibilità di abortire fino a fasi avanzate della gravidanza, quando cioè i nati sopravviverebbero se assistiti, ma che potrebbe avere come conseguenza il ricorso massiccio all’aborto farmacologico 'in proprio', oltre all’uso sempre più diffuso dei cosiddetti 'contraccettivi di emergenza', che possono agire anche da antinidatori, procurando precocissimi aborti. È una tendenza già evidente, un processo già in atto, che il dibattito americano può accelerare: in questo modo l’aborto scomparirebbe sì, ma solo alla vista, confinato in una clandestinità legale tutta sulla pelle delle donne, che non cambierebbe la sostanza dei fatti, ma solo l’apparenza. Non è questa la laica riflessione sull’aborto che serve. E in essa non c’è nulla da eludere o da nascondere. Un mondo responsabile, amante della vita e della pace, è un mondo in cui l’aborto, cioè la soppressione di un’esistenza, non è una cura, ma una ferita drammatica e dolorosamente aperta.