I fatti di Catalogna sono anche l’ennesimo episodio di una malattia profonda, economica e spirituale, che affligge i Paesi ad alto reddito. Al di là della specifica storia catalana, infatti, la concausa economica del malessere si può ritrovare nella globalizzazione e nella nuova fase del capitalismo, caratterizzata da forte concentrazione della creazione di ricchezza nei proprietari delle nuove tecnologie e da concorrenza sempre più serrata con i lavoratori a basso costo dei Paesi poveri ed emergenti, con la conseguenza del progressivo impoverimento delle classi medie e basse del cosiddetto Nord del mondo. La sofferenza di una parte consistente della nostra società e degli elettori ha prodotto una serie di miraggi di soluzione che appaiono grotteschi e fuori misura. I nazionalismi, i sovranismi e i populismi sono la risposta sbagliata a un problema che le élites hanno la grave colpa di aver sottovalutato e fatto finta di non vedere. I partiti separatisti soffiano sul fuoco di questo problema cercando di conquistare consensi con il fascino di soluzioni miracolose.
La Brexit, nelle parole dei suoi promotori, avrebbe dovuto immediatamente trasferire soldi dai migranti al welfare dei nativi, una farsa a cui molti elettori hanno creduto, smentita già il giorno dopo le elezioni. In Italia si sparge la voce (per fortuna condivisa solo da minoranze) che si possa recuperare il terreno perduto fermando i migranti e uscendo dall’euro. Un po’ come se, per ristrutturare una casa che ha bisogno di essere ammodernata, si decidesse di buttare giù la trave portante. La storia catalana si inserisce in questo filone ed è una farsa che rischia di trasformarsi (si sta trasformando) in tragedia. Dove l’errore di una minoranza di persone che ha votato e lo ha fatto per la secessione fuori dalle regole costituzionali della Stato di appartenenza pretende di decidere una cosa così importante contro il volere della maggioranza di astenuti e contrari. Errore che invece di essere superato con una consultazione pacifica e una valutazione serena del suo peso effettivo, accompagnata da una trattativa sull’autonomia, rischia di essere rinforzato dalla reazione muscolare del governo centrale e della polizia spagnola. Sullo sfondo la posta in gioco dei politici autonomisti è molto più prosaica e meno nobile di quanto si vorrebbe far credere.
Se il decentramento e l’autonomia amministrativa sono elementi virtuosi che consentono più facilmente l’emergere di buone pratiche amministrative, forme di secessione o separazione nascondono molto spesso il desiderio di ridurre la contribuzione ai beni pubblici di cui può godere una comunità più vasta di persone. Secondo uno schema non strutturalmente diverso dal mal di pancia di tanti di noi quando si tratta di pagare una rata di condominio. L’unico antidoto alla malattia è far comprendere come la cooperazione, le economie di scala, l’aumento del potere negoziale nelle trattative internazionali possono intervenire e contribuire a risolvere i problemi più della guerra degli uni contro gli altri. E rendere molto più vive ed efficaci di quanto stiamo facendo oggi (soprattutto agli occhi di chi sta soffrendo di più) le ragioni dello stare insieme. Per l’Unione Europea questo vuol dire abbandonare l’ideologia ordoliberista del pareggio di bilancio e realizzare e comunicare l’efficacia delle molte cose che si possono fare per curare i problemi di fondo dei lavoratori meno qualificati e dei cittadini che hanno meno risorse per competere con il lavoro a basso costo e l’automazione. Concretamente ciò implica alimentare le politiche di investimenti in infrastrutture potenziando le garanzie del piano Juncker, concludere con successo la battaglia sulla web tax che assicurerebbe importanti risorse fiscali all’Unione fino alla creazione di un fondo di riassicurazione delle reti di protezione nazionali che esistono in ciascun Paese membro (il Reddito di inclusione da noi).
E, a cascata, per il nostro governo vuol dire attivare tutte le iniziative necessarie per far crescere occupazione e redditi che siano compatibili con i vincoli di spesa pubblica. Di fronte a queste difficoltà e sfide il mondo occidentale sembra vacillare, preda di una crisi profonda. Il senso di solidarietà cede il passo alla tentazione di liberarci dalle responsabilità di cooperazione e mutua assistenza, pensando così di poter avere più risorse per noi. La realtà è che moltiplicando le divisioni si mette in moto una forza centrifuga che non sappiamo dove e quando potrebbe arrestarsi. Dobbiamo continuare a ricordare a noi e agli altri che costruire cooperazione e fiducia (anche e soprattutto in momenti difficili) è compito molto più nobile, vitale ed esaltante che speculare sulle debolezze e divisioni dell’umano. La vita inizia quando sei disposto a perdere (mettere in gioco) qualcosa per qualcun altro. Quando l’io/noi si apre al tu/loro, a livello individuale come a livello di comunità e di popoli. E nel momento della difficoltà chiudendoci a questa verità rischiamo di inaridire le sorgenti più profonde della vita stessa.