Ma davvero era troppo tardi, in nome del buon senso e di quel realismo che Giorgio Napolitano ha invocato di nuovo ieri per placare almeno in parte l’«irrequietezza» della politica nazionale, tentare un’ultima mediazione attorno al "nodo decadenza" di Sivio Berlusconi? La proposta di Pier Ferdinando Casini, che resterà agli atti sotto forma di pregiudiziale presentata nell’aula del Senato, è stata liquidata nel giro di poche ore con giudizi frettolosi e a dir poco miopi. L’idea di sospendere l’applicazione della legge Severino e di attendere alcune - poche - settimane, perché scatti l’ormai ineluttabile interdizione giudiziale dai pubblici uffici a carico dell’ex premier, non è nuova per i lettori di questo giornale, che l’ha caldeggiata in giorni meno agitati e in un clima meno convulso di quello odierno.
Ma evidentemente ormai sta prevalendo, per l’ennesima volta, la logica del partito preso e della "confrontation", per usare un lessico da guerra fredda che purtroppo ben si attaglia allo scenario in atto. Cade probabilmente anche l’equivoco che, mai apertamente evocato, è stato messo dagli opposti pasdaran degli schieramenti principali alla base del loro "sì" alla "strana maggioranza" partorita più che a fatica dalle urne di febbraio. Un consenso a denti stretti alla nascita del governo delle larghe intese, accompagnato dalle malcelate riserve mentali di chi immaginava di ottenere in cambio un salvacondotto personale e di chi, sull’altro versante, gli attribuiva il ruolo di traghettatore verso un post-berlusconismo da gestire in proprio e senza il minimo supporto di un coerente responso elettorale.
Di fatto, dalla ripresa settembrina in poi abbiamo assistito a un progressivo avvelenamento dei pozzi, interrotto solo provvisoriamente dal voto di fiducia del 2 ottobre, che tuttavia già conteneva in nuce le premesse del successivo show down. Non a caso, anche da Palazzo Chigi quel voto ieri veniva indicato come l’atto di nascita implicito di una nuova, più ridotta e potenzialmente più salda maggioranza, come tale non bisognosa oggi - per ammissione stessa del Quirinale - di una immediata verifica parlamentare ad hoc. Tuttavia le difficoltà che l’esecutivo sta incontrando nel portare alla meta la legge di stabilità, con l’annuncio ufficiale del passaggio all’opposizione della rediviva Forza Italia, dimostrano che le conseguenze dello strappo non saranno facili da metabolizzare. E che ai vantaggi in termini di maggior coesione interna si contrappone il sostanzioso affievolimento della forza numerica. Mentre da più di un candidato in corsa per la guida del Partito democratico arrivano, per Enrico Letta, preannunci di pressioni e di condizionamenti quasi speculari agli squilli guerrieri del Cavaliere e dei suoi fedelissimi.
Eppure la missione di questo esecutivo, nonostante la sfibrante maratona notturna per incassare la fiducia sulla manovra e gli scossoni ai quali sarà sottoposto oggi dal confronto sulla decadenza, non può e non deve essere considerata esaurita. Il Paese viene da un biennio di durissimi sacrifici che, piaccia o no, siamo stati obbligati ad infliggerci a causa di scelte e non-scelte sbagliate dei passati esecutivi. E oggi sarebbe politicamente criminale gettare tutto alle ortiche.
Allo stesso modo, il doppio traguardo del semestre di presidenza italiana nell’Unione Europea e delle riforme minime necessarie per garantire un’agibilità istituzionale futura migliore di quella oggi disponibile va assolutamente centrato. A cominciare dal superamento di un sistema elettorale sciagurato e iniquo (e la Consulta tra breve ci ripeterà quanto...), capace solo di enfatizzare la vocazione estremista - e alla lunga impotente - di tanti protagonisti della nostra politica. In fondo, nonostante i toni roboanti di chi già conta le truppe per un prossimo scontro sugli schermi e nelle piazze, queste considerazioni sono ben presenti a tutti gli aspiranti premier di domani. Comportarsi di conseguenza sarebbe una prima verifica della loro concreta affidabilità.