Nel caso di Giulia e Filippo, due figure emergono sulle altre: quella del padre della ragazza uccisa che sprona tante giovani come la figlia a denunciare per avere salva la vita e quella del padre del suo assassino che non si capacita che «un figlio così perfetto, che non aveva mai dato nessun problema, mai un litigio con amici e compagni di scuola», possa aver commesso un crimine del genere.
Normalmente si pensa che il tema della violenza sia connesso a quello dell’uomo macho. Tutt’altro: gli uomini violenti hanno un deficit di virilità, ossia la capacità di farsi rispettare rispettando gli altri, una fermezza profonda, un coraggio particolare nell’affrontare la vita. Ha una genesi educativa e i genitori possono fare molto per evitare certe distorsioni che in casi estremi portano a conseguenze irreparabili. Senza voler fare processi alle famiglie e in particolare a quelle coinvolte e oggi sconvolte dal dolore, si possono comunque avanzare delle considerazioni sulla questione educativa e la violenza maschile.
Le parole del padre di Filippo – il classico ragazzo «pacifico» – riportano al tema della carenza conflittuale, ossia dell’incapacità ad affrontare e gestire le difficoltà relazionali quando nascono. E il «pacifico» ne rappresenta il profilo più pericoloso. La violenza contro le donne non ha matrici passionali o amorose: si tratta di brutalità allo stato puro, inadeguatezza totale a gestire le proprie reazioni emotive, volontà di possesso e di dominio assoluto, come se i corpi fossero una proprietà privata e potessero essere resi in schiavitù perpetua. Esiste un nesso molto stretto tra uomini violenti e un’educazione che, quando erano bambini, ha precluso la possibilità di litigare, impedendo loro di imparare a stare nelle contrarietà: non imparano ad ascoltare l’opinione degli altri; non imparano ad affrontare la divergenza; non imparano a tollerare un’opposizione alla propria volontà. E così non riescono a relazionarsi nelle situazioni critiche ed esplodono
in rabbia e violenza che non vanno confuse con il litigio. I bimbi litigiosi cercano il confronto, sono sani, non devono preoccupare. Più che reprimere i loro litigi, è giusto intervenire per invitarli a darsi reciprocamente la propria versione dei fatti (come insegna il mio metodo “Litigare Bene”). Se ai bambini lo si insegna quando sono piccoli, potranno sviluppare competenze preziose per il loro futuro di uomini adulti e difficilmente saranno violenti con una donna. E se alle bambine restituiamo la naturale propensione a difendersi, permettendo anche a loro di litigare, cresceranno più assertive, coraggiose e decise.
Inoltre, nella nostra società viviamo un eccesso di ruolo materno, di cura, di controllo (il cosiddetto maternage) che non tiene conto delle corrette fasi di sviluppo delle autonomie infantili. So di madri che curano l’igiene del figlio di nove anni e lo tengono nel lettone con sé oltre i tre violando così una sfera intima, che confina con quella sessuale. Nella storia della maggior parte dei maschi violenti c’è il «lettone tardivo», ovvero una mamma che non «libera» il proprio figlio e che non si rende conto di mantenere il piccolo in una situazione di ambiguità, anche un po’ morbosa.
Il discorso sull’educazione dei maschi comincia pertanto dai padri, quelli che oggi pensano che la cosa giusta da fare sia far divertire i figli ed essere dei «vicemammi ». Dal padre-padrone siamo passati al padre peluche: il primo era mortificante, il secondo è castrante. Così come l’argine permette al fiume di scorrere senza disperdersi, il padre diviene una sponda mettendo le regole e facendole rispettare con l’obiettivo di aiutare il figlio a prendere il largo. Il «padre paterno» traccia limiti, incentiva l’autonomia, stimola l’esplorazione della vita e a far fatica. La virilità è una questione di argini, limiti e sponde.
Ritengo inoltre grave l’eclissi dell’educazione sessuale per i nostri ragazzi e ragazze che, senza l’intervento da parte del mondo adulto, disinteressato a offrire loro una corretta formazione in merito, credono di «imparare» attraverso i siti porno a cui possono accedere con estrema facilità. Questi finiscono invece con l’alimentare la mancanza di rispetto verso il corpo femminile con una cultura misogina neanche tanto occultata. È corretto che i genitori possano avere un presidio sugli smartphone dei figli, ma soprattutto la scuola dovrebbe porsi il problema e offrire ai propri alunni le coordinate adeguate. Un maschio cresciuto nel rispetto delle regole, nella soddisfazione dell’autonomia e nel riconoscimento delle ragioni altrui, difficilmente sarà violento con una donna. E sarà un maschio migliore.