Sfidando l’accusa di scadere nella demagogia a buon mercato, osiamo consigliare ai 630 deputati di Montecitorio, da oggi ufficialmente in ferie per un mese e mezzo, di portarsi dietro un piccolo e istruttivo «compito per le vacanze»: l’esame delle 11 paginette diffuse ieri dall’Istat, con le statistiche sulla povertà in Italia nel 2008. Sacrificando poco più di mezz’ora del loro riposo, potranno farsi un’idea abbastanza precisa di quanto la crisi stia pesando sulle famiglie e, in generale, sulle fasce più deboli del Paese. E chissà che qualcuno di essi non decida di rimettere le mani sulla sua personale agenda delle emergenze d’autunno. Al loro posto non ce la sentiremmo, in effetti, di chiudere frettolosamente quella lettura e di passare oltre con una scrollata di spalle. È vero, dalle cifre complessive (un po’ simili alle famose «medie» trilussiane!) emerge una sostanziale stabilità del disagio sociale: dall’ 11,1 per cento di ' relativamente poveri' del triennio 2005- 2007, siamo passati all’ 11,3. Con l’accidente di crisi mondiale che stiamo affrontando, dirà qualcuno, poteva andare anche molto peggio. Però già la lettura dei numeri effettivi suggerisce tutt’altra impressione. Perché si tratta pur sempre di otto milioni e più di italiani, racchiusi in 2 milioni e 737mila famiglie. Se poi ci soffermiamo sui poveri definiti ' assoluti', quelli che se la passano davvero male (o, come dicono a via Depretis, non riescono « a conseguire uno standard di vita minimamente accettabile») anche la «musica» statistica comincia a cambiare. Dopo tre anni attorno al 44,1 per cento, l’esercito dei senza speranza è balzato l’anno scorso al 4,6. Come dire che quasi un italiano su venti è ormai stabilmente inserito nel girone dei «dannati sociali», comprendente secondo l’Istat 2 milioni e 893mila unità, per un milione e 126mila nuclei domestici. Accanto alla lettura consigliata, ci permettiamo inoltre di suggerire agli onorevoli parlamentari tre modeste considerazioni. La prima può perfino suonare banale: i dati in discussione si riferiscono al 2008 e tutto lascia ritenere che, a questo punto del 2009, qualche altra non trascurabile fetta di nostri connazionali sia andata a ingrossare le file dei più sfortunati. Allo stesso modo, non è pensabile che, di qui alla fine dell’anno, si possa determinare un’inversione di tendenza significativa, con flussi di popolazione in risalita sociale. Converrebbe dunque immaginare un qualche rimedio al più presto, senza aspettare l’indagine Istat dell’anno prossimo che certifichi la scontata evoluzione negativa del fenomeno. Secondo spunto di riflessione. Sono giornate, queste, rese politicamente roventi dal dibattito sulla necessità di una nuova attenzione al Mezzogiorno. Varrà la pena allora approfondire le cifre sulla povertà, disaggregandole proprio in chiave territoriale. Ed emergerà a quel punto che i segnali di smottamento, nei dodici mesi scorsi, sono molto più preoccupanti nel Sud. Si sapeva ad esempio che in quest’area del Paese l’aliquota di poveri è ben oltre la media nazionale. Ma adesso la quota di famiglie meridionali in seria difficoltà è balzata dal 22,5 al 23,8 per cento. E quella degli indigenti assoluti sfiora l’ 8 per cento, contro il 5,8 del 2007. C’è da chiedersi come sia possibile immaginare una più efficace e organica politica per il Mezzogiorno ignorando questa evoluzione del tessuto sociale. O magari illudendosi di sciogliere i nodi con risposte politicistiche come il cosiddetto «partito del Sud». L’ultima considerazione incrocia «l’allarme povertà» con il cronico 'allarme famiglie', che del resto anche l’evidenza dei numeri fa nuovamente risaltare. Come già più volte denunciato, anche questa volta l’Istat documenta che a fare le spese dell’appesantimento dei bilanci economici sono in misura più che proporzionale i nuclei numerosi e quelli con figli minori o anziani a carico. Così, per le famiglie di quattro persone, l’area della povertà si è estesa in un anno dal 14,6 al 16,7 per cento. Per quelle di cinque o più componenti, è schizzata dal 22,4 del 2007 al 25,9 per cento. Se poi questa famiglia ha tre figli piccoli e abita al Sud, ha quasi 2 probabilità su cinque di entrare in zona minata ( 38,8 per cento di povertà relativa). Che cos’altro serve, quali altre 'eloquenze' numeriche occorrono ai nostri governanti per dare finalmente una sterzata alle politiche di welfare, ricentrandole seriamente sulla famiglia e ponendo così le premesse, prima per il contenimento, poi per un recupero via via più consistente della stessa marginalità sociale?