L'hanno sbattuta pure in prima pagina con il titolo: libera. Ora che c'è la possibilità che la facciano morire di fame e di sete. Libera di morire, prima condannata a morte dell'Italia Repubblicana. Così l'Unità, organo di un partito che un tempo guardava con orrore le conquiste del radicalismo chic e ora le applaude con strana voluttà, sbatte Eluana in prima pagina con un titolo che mostra tutta la strana parabola di una cultura entrata in centrifuga. Se ieri consideravano la volontà individuale sacrificabile al collettivo, ora applaudono - sulla pelle della povera Eluana - a un principio cosiddetto dell'autodeterminazione. La libertà, secondo questo principio, coincide con l'autodeterminazione. Lasciamo per un attimo la vicenda penosa della povera Eluana, che non si è autodeterminata in niente, e che come un oggetto quando diventa troppo ingombrante e fastidioso si stacca la spina e via (gran libertà di essere rifiutati"). Lasciamo per un attimo questa strana contesa in cui da un lato c'è chi vuol far morire subito una ragazza che, lo ripetiamo per i medici non è morta e non è sotto accanimento terapeutico, e dall'altro c'è chi la vorrebbe semplicemente accompagnare al suo destino, come han scritto ieri le suorine che l'hanno accudita finora. Lasciamo per un attimo il caso specifico che ha avuto il "merito" di far salire a galla le diverse posizioni. E guardiamo la parola di quel titolo cinico fino allo spavento: la libertà coincide con l'autodeterminazione? Un intellettuale di sinistra come Pasolini e tanti altri che come me si sono formati su autori e poeti appartenenti all'area politica di sinistra sarebbero inorriditi. La libertà come autodeterminazione è un'astrazione, una idea in fondo violenta che vale solo in una società senza più legami. Una società di "monadi", come i filosofi definiscono l'uomo che non ha alcun legame essenziale con nulla. Una società senza affetto, senza responsabilità reciproche. Senza ideali a cui tendere. Provate a pensare se vostro figlio, o una persona che amate vi dicesse che in nome dell'autodeterminazione ha deciso di farla finita. Per i motivi che lui o lei ritiene validi. Lo lascereste fare, in nome del valore assoluto dell'autodetrminazione? O cerchereste in ogni modo di convincerlo che la sua vera libertà consiste nell'aderire alla vita? Magari cercando ogni aiuto possibile? Il caso estremo di Eluana, come tutti i casi estremi, serve a far capire se certi principi sono fermi oppure no. Perché è proprio nei casi difficili che si vede se i principi valgono. Troppo facile dire che la vita è un valore quando non subisce prove, come è troppo facile dire che rubare è sbagliato quando i soldi si hanno. È nelle prove che si vedono i principi di una società. Il fatto tremendo emerso ora è che ormai per i paladini dell'autodeterminazione vita o morte si equivalgono, ciò che dà valore all'uno o all'altra è solo la scelta del singolo inteso come monade. La vita vale solo se la scelgo, e la morte pure. E all'opposto della vita non c'è più la morte ma un'idea di infelicità che cambia a seconda della cultura dominante. Sì, non è più la morte l'opposto della vita, per questi strani paladini della morte e dell'individualismo più cieco (e alcuni di loro si chiamavano "comunisti", che tragitto perverso...): l'opposto è l'infelicità. Ma è qui il punto: che cosa rende una vita infelice? La mancanza di salute? La mancanza di soldi? Di bellezza? Cosa? L'appartenere alla razza sbagliata? Hanno deciso che la vita di Eluana era infelice e quindi tanto valeva consegnarla alla morte. Anche se è viva. Sarà la cultura dominante e cangiante a decidere di volta in volta cosa rende infelice la vita e dunque da eliminare. È la fine della vita come valore assoluto. È l'inizio di un'epoca dove vita o morte valgono uguale. Ma, appunto, un'epoca di mancanza di amore, oltre che di mancanza di ragione. Solo chi non ama può ritenere uguale la vita o la morte di coloro che ha intorno.