Se il presidente francese Sarkozy, il premier Fillon e il primo ministro irlandese Cowen si mettono a litigare sul fallo di mano di Henry, si è certamente innescata una pericolosa commistione tra il tifo, l’amor di patria e l’interesse prettamente economico della partecipazione o meno al Mondiale di calcio sudafricano. Ma se lo spareggio tra Algeria ed Egitto finisce con l’assalto alle ambasciate allora bisogna forse fermarsi veramente a riflettere sul significato delle cose. I due Paesi, la storia lo insegna, non si amano certamente. La battaglia diplomatica era cominciata settimane prima, già dalla scelta dei rispettivi stadi in cui si sarebbero giocati gli spareggi. Poi tutti sanno com’è andata a finire, con le botte ai calciatori algerini appena giunti nella capitale egiziana e la tensione arrivata alle stelle. E la terza partita di spareggio poi, nel “neutro” di Khartum in Sudan, ha dato alla vicenda i connotati del vero e proprio scontro: l’altro ieri c’è stato il richiamo degli ambasciatori – gesto grave che segna il punto più alto di una disputa diplomatica – e ieri le cariche di piazza. Centinaia di tifosi egiziani hanno cercato di “conquistare” al Cairo la rappresentanza di Algeri per vendicare la sconfitta. Riferiscono le agenzie che dopo i sermoni del venerdì islamico il passaparola ha organizzato la spedizione punitiva: decine i feriti e la constatazione che la questione ormai va ben al di là del solito pallone. Si diceva, mesi fa, della diplomazia del calcio e del segnale «importante» lanciato da Turchia e Armenia che, proprio dopo una partita di calcio, hanno iniziato una “road map” per uscire dall’ottica del muro contro muro legata al genocidio armeno e ai (pessimi) rapporti di vicinato. Ora si deve però constatare che il pallone sa purtroppo anche sgonfiarsi. E la metafora della valvola che ne costringe l’aria all’interno non è per nulla balzana. Algeria ed Egitto da tempo vivono, per certi versi, situazioni analoghe di tensioni interne. Entrambe legate all’estremismo. Il Paese di Bouteflika sta lentamente uscendo da decenni di terrore fondamentalista: bombe stragi e agguati ne hanno segnato l’epoca scura del terrore islamico. L’Egitto è anch’esso un contenitore in continua ebollizione, con un fondamentalismo di fondo potente e che minaccia costantemente il regno del “faraone” Mubarak. Il fatto che la “valvola di sfogo” di queste tensioni la si trovi proprio nella rivalità sportiva fa però riflettere sugli effetti dirompenti che potrebbe avere. E sulle responsabilità di governo che in questa vicenda sono mancate (o fatte mancare). Un segnale su tutti è inequivocabile: ieri, per sedare gli animi, è intervenuto anche l’imam Mohamed Sayyed al-Tantawi, la massima autorità religiosa dell’università cairota di al-Azhar. Perché la scintilla, lo sanno tutti, potrebbe essere fatale.