C’è voluto un mese, ma alla fine una crepa s’è aperta. E sta lasciando filtrare i primi squarci di verità dalla colata di asserzioni indimostrate e di scandalizzati pregiudizi gettata addosso alle parole di Benedetto XVI sull’Aids in Africa. Parole ragionevoli e documentate, delle quali è stata data una «presentazione talvolta eccessivamente semplicistica e affrettata», e che invece «meritano di essere restituite nella loro complessità». Detto dal ministro degli Interni francese Michèle Alliot-Marie – in una lettera al presidente dei vescovi d’Oltralpe resa nota ieri da Le Figaro – suona come una clamorosa sconfessione postuma dell’indignata critica mossa a caldo dallo stesso governo di Parigi, che aveva definito addirittura «criminale» quanto detto dal Pontefice. Un cambiamento di rotta mica da poco. Davanti a questo vertiginoso dietrofront è inevitabile che si apra più di una domanda attorno a una vicenda in cui la saccenteria di chi si crede sempre dalla parte della ragione quando l’interlocutore è la Chiesa s’è intrecciata all’ipocrisia di certo laicismo anticattolico, anche nostrano, che ha preferito stracciarsi le vesti anziché guardare in faccia il fallimento di politiche anti-contagio (non solo in Africa) basate sul solo uso del preservativo. Erano i fatti a esigere che i dubbi avanzati dal Papa su scelte rivelatesi illusorie andassero sottoposti a un confronto con la realtà. Ma la fatica di quella illuministica verifica non è stata fatta, forse sapendola esposta al rischio di far affiorare perplessità su un assioma indiscutibile della cultura egemone come la libertà sessuale. Si è così lasciato che il furore polemico montasse fino a diventare una valanga inarrestabile, col chiaro intento di usare uno degli ormai troppi tabù della post-modernità per costringere Benedetto XVI nella parte del cattivo globale. Un’operazione patetica che ha subito mostrato il proprio «chiaro intento intimidatorio – come ha rilevato sempre ieri una ferma nota della Segreteria di Stato vaticana – quasi a dissuadere il Papa dall’esprimersi in merito ad alcuni temi, la cui rilevanza morale è ovvia, e di insegnare la dottrina della Chiesa». Che il destinatario di quest’affermazione sia nientemeno che il Parlamento di un Paese che passa per cattolico come il Belgio, estensore di una incredibile risoluzione di condanna del Santo Padre, è solo un elemento in più nel grottesco brogliaccio di questo caso politico-mediatico. Il 17 marzo sul volo papale verso il Camerun a un giornalista francese che definiva «non realistica e non efficace» la posizione della Chiesa sul virus, il Papa replicò pacatamente che il dramma dell’Aids «non si può superarlo con la distribuzione di preservativi» che, «al contrario, aumentano il problema». Da allora numerose voci – a lungo pressoché silenziate – di veri 'innamorati' dell’Africa si sono sforzate di mostrare dati alla mano che il ricorso esclusivo al profilattico non ha affatto arrestato l’epidemia, come si continua a far credere. Il 10 aprile persino Le Monde, che pochi giorni prima aveva accusato il Papa di «insopportabile cinismo», si è piegato a ospitare l’intervento di alcuni uomini di scienza nel quale si spiega con semplice buon senso che «se la gente si sente sicura al cento per cento ha la tendenza a correre rischi maggiori», e che solo «astinenza e fedeltà » hanno mostrato di poter risparmiare vite umane. È dunque l’«umanizzazione della sessualità» illustrata da Benedetto XVI la chiave per frenare la proliferazione del contagio, non il via libera irresponsabile a qualsiasi comportamento. Per intuire il realismo di quelle parole era sufficiente essere «veri amici dell’Africa», come appuntava la nota vaticana. Solo dagli amici di un continente senza pace sono state «capite e apprezzate» le «considerazioni di ordine morale sviluppate» dal Papa. Chi si vuole unire a questi coraggiosi?