Gentile direttore,
continuo a leggere notizie pesantissime dal Tigrai, in Etiopia. Mi hanno colpito quelle dalla città di Mekelle. Un prete cattolico, Taum Berhane, ha descritto condizioni che ricordano i racconti biblici della carestia. «Vediamo madri che allattano senza latte». «Vediamo bambini morire ». «Vediamo gente mangiare foglie come capre». Mentre la Chiesa lotta per sostenere nei campi migliaia di sfollati molti «ci dicono: torniamo ai nostri villaggi, anche se non c’è niente. È meglio morire a casa». Don Taum ha 70 anni è diabetico e anche le sue medicine stanno diminuendo, ma racconta che fra poco anche il «pane per la comunione sarà presto esaurito». Sono parole (e fatti) che fanno male, ma vorrei fare un appello alla Chiesa italiana per una giornata di preghiera e impegno per la pace in Etiopia.
Fabrizio Floris
La Chiesa umbra, nello «spirito di pace di Assisi», aveva chiamato già nel novembre del 2020, il giorno 27, a pregare per l’Etiopia piagata da un durissimo conflitto etnico e politico. Una preghiera – per iniziativa di singoli missionari, di associazioni, gruppi e ong cattoliche – che in forme diverse si è ripetuta più volte lungo i terribili undici mesi della devastante «guerra invisibile» nel Tigrai. Ce ne stiamo occupando sin dal suo inizio, quando troppi negavano persino che ci fosse e facevano finta che i luoghi sacri del Tigrai, tra i più importanti dell’Africa cristiana, erano stati attaccati e saccheggiati. Paolo Alfieri, Paolo Lambruschi e Francesco Palmas tornano a scriverne nella pagina di primo piano che pubblichiamo proprio oggi. In questi mesi, ho constatato ancora una volta che sono sempre gli uomini e le donne della solidarietà concreta a chiedere anche questo prezioso “di più” di vicinanza: umana e spirituale: la preghiera. Grazie a questo e anche, un po’, al nostro lavoro credo, gentile e caro amico, che – sebbene la distrazione sui fatti del mondo sia purtroppo crescente – in gran parte della Chiesa italiana e in una parte sensibile della nostra società ci sia almeno un po’ di consapevolezza della tragedia in corso. Questo per dirle che il doppio gesto – preghiera e impegno – che lei suggerisce è già scelta operante nella nostra comunità ecclesiale italiana. Potrà diventare un corale gesto fraterno della Chiesa italiana? Ne sarei contento. Molte testimonianze drammatiche, proprio come quella di don Thaum Berhane da lei citata, ci confermano che serve più che mai l’umiltà di chiedere l’aiuto misericordioso di Dio mentre facciamo la nostra parte.