(Ansa)
Gentile direttore,
in questi ultimi giorni sentiamo parlare nuovamente delle agenzie di rating, e della loro influenza sulla credibilità dell’Italia, da un punto di vista economico, nei confronti dell’Unione Europea e degli investitori esteri. Mi chiedo se queste agenzie siano esse stesse ancora credibili dopo la crisi del 2008, in quanto siamo certi ormai che hanno contribuito anch’esse a quegli eventi, assegnando rating troppo alti alle obbligazioni garantite da mutui subprime nel 2008 negli Stati Uniti d’America, senza dimenticare l’analisi di rating positiva fornita nei confronti della banca Lehman Brothers appena una settimana prima del suo fallimento oppure di Parmalat poco prima del suo crack finanziario. Questo perché, nonostante i controlli del Paese di origine delle agenzie di rating, queste sono soggetti privati e facilmente soggetti a conflitti di interesse: le più grandi agenzie, come Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings sono partecipate da grandi multinazionali, le stesse che poi ricevono la valutazione da coloro che finanziano. Alla luce di tutto questo, insisto, mi pare evidente la poca credibilità delle agenzie di rating. Mi domando perché oggi ci sia tanto clamore per i loro giudizi sul nostro Paese dopo tutto quello che hanno combinato! Lo stesso presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, affermava, nel 2012, che «bisognerebbe imparare a vivere senza le agenzie di rating o quanto meno imparare a fare meno affidamento sui loro giudizi». La memoria corta, anche in questo caso, ha riportato indietro le lancette della storia, che non può insegnare niente all’uomo avido di potere, ma solo offrirgli gli esempi più negativi, perché vengano imitati e ripetuti nel tempo.
don Serafino Romeo, Prato
Quello di Mario Draghi, gentile don Serafino, era un autorevole auspicio. Auspicio che avrebbe però dovuto concretizzarsi in impegno cogente da parte delle istituzioni economiche e finanziarie sovranazionali. Così purtroppo non è stato. E anche per questa ragione, a dieci anni esatti dallo scoppio della grande crisi innescata da Lehman Brothers, ci ritroviamo purtroppo a constatare l’inadeguatezza del sistema finanziario globale: in termini di concentrazione di potere, scarsa concorrenza e sudditanza della politica (e dell’economia reale) alla finanza. Mi spiego meglio. Le sue osservazioni e domande implicite sulle agenzie di rating, domande alle quali il direttore mi chiede di rispondere, centrano perfettamente il problema. I “valutatori” svolgono un compito fondamentale in un’economia di mercato: analizzano e misurano le condizioni finanziarie di un ente, pubblico e privato, e forniscono così agli investitori, piccoli e grandi, uno strumento per ponderare le loro scelte di allocazione delle risorse. Il giudizio (“rating”) di queste società è cardinale perché determina le condizioni di accesso al credito dei soggetti valutati, società o Stati che siano. Nel caso di un Paese sovrano, il rating contribuisce dunque a calcolare il rischio dei prestiti che il Tesoro sottoscrive presso gli investitori, attraverso i titoli di Stato, e quindi gli interessi che deve pagare. Visto dall’altro lato, chi desidera investire i propri risparmi in obbligazioni governative utilizza il rating per ponderare il pericolo di non vedersi restituito il capitale. Da entrambe le prospettive il “voto” risulterà tanto più efficace quanto più la società di valutazione è considerata trasparente, priva di conflitti di interesse, indipendente. In una parola: credibile.
E lo scandalo dei mutui subrime cui Lei fa riferimento ha effettivamente assestato un duro colpo alla reputazione delle agenzie di rating. S&P e Moody’s hanno patteggiato con il dipartimento di Giustizia americano il pagamento di multe consistenti, rispettivamente 1,37 miliardi e 846 milioni di dollari, per aver gonfiato le stime sui titoli tossici legati ai famigerati mutui subprime. Le agenzie si sono sempre difese sostenendo che la credibilità delle proprie valutazioni rappresenta la condizione base per lo svolgimento dell’attività e che è pertanto nel loro interesse primario non commettere errori simili. Tuttavia, il difficile rapporto tra credibilità e diffusione di servizi di analisi finanziaria non ha ancora suscitato l’attenzione costante dei regolatori internazionali. È fallito in particolare il tentativo di rompere l’oligopolio delle “tre sorelle” americane. Da anni si parla ad esempio della necessità di creare un’agenzia di rating europea indipendente: non è mai nata. Dopo la crisi, la Bce si è limitata ad affiancare la canadese Dbrs alle statunitensi Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch, ma il mercato internazionale del “cedit rating”, di fatto, è rimasto un mercato chiuso. E la scarsa concorrenza è sovente foriera di distorsioni e asimmetrie informative ovvero di errori di valutazione. Non solo: non si è favorito l’inserimento di criteri d’impatto sociale e ambientale nelle valutazione dei rischi legati alle emissioni obbligazionarie. Delle agenzie di rating, in ogni caso, avremmo sempre bisogno. Perché lavorano potenzialmente nell’interesse sia dell’emittente sia dell’investitore. È però compito delle istituzioni internazionali fare in modo che i loro giudizi siano davvero indipendenti e magari correlati anche alla dimensione della sostenibilità. Come è responsabilità degli emittenti, Stati o società private, fare in modo di risultare credibili – e quindi solventi – agli occhi degli investitori. Fino al punto da rendere, allora sì, come si augurava il presidente della Bce, meno vincolanti i rating.