Se vedessimo una ragazzina, cuffie calcate sulle orecchie e occhi agganciati allo smartphone, attraversare la strada senza accorgersi del camion che le sta arrivando addosso, tenteremmo di fermarla? Oppure ci diremmo "in fondo non è mia figlia, faccia come crede", lasciandola al suo destino? La domanda è volutamente retorica: davanti a un caso specifico tanto eclatante, nessuno avrebbe esitazioni sul da farsi, ma quando situazioni analoghe si dilatano su scala sociale la bilancia sembra pendere verso l’indifferenza per la sorte altrui.
Lo conferma il caso della tredicenne di Ferrara finita all’ospedale in coma etilico dopo aver tracannato uno dopo l’altro diciotto bicchierini di vodka in un locale del centro storico, chiuso con decreto del questore dopo una rapida indagine della polizia che ha fiutato le piste delle compagnie di minorenni e le loro frequentazioni serali in cerca dello «shottino» versato serialmente dal gestore senza tante storie. Come altri fenomeni adolescenziali di recente diffusione, il nomignolo indulgente nasconde una pericolosissima pratica alcolica che pare incredibilmente ignota a genitori cui sembra sfuggire cosa si inocula nella vita sociale dei propri giovanissimi figli. La mini-dose di superalcolico da "spararsi" dritto nello stomaco (dal verbo inglese to shoot, appunto), pagando un euro la consumazione insieme al silenzio complice di chi sta dall’altra parte del bancone, serve come rompighiaccio per serate nelle quali è indispensabile apparire rumorosamente allegri e spensieratamente disinvolti, sullo stile di quei dj sovreccitati che dilagano su certe radio commerciali (e che ai ragazzi si propongono come archetipo del divertimento).
Se già una vodka può far barcollare un teenager, e la gran parte degli adulti, una sequenza di diciotto ingollate a 13 anni come lasciapassare per una serata sopra le righe può risultare letale. Ma il ripetersi di episodi simili – con quello di Ferrara, le cronache ne conteggiano almeno cinque in altrettanti mesi, protagonisti sempre adolescenti – apre l’interrogativo su quel che passa per la testa agli adulti che anziché fermare la ragazzina mentre attraversa la vita senza guardarsi attorno le versano da bere, e ancora, e ancora, fino a verificare che lo sballo irresponsabilmente cercato è stato raggiunto. I bicchierini per l’euforia a buon mercato non sono una specialità ferrarese: apriamo gli occhi passeggiando nel centro delle nostre città, nelle vie dello struscio giovanile, e non tarderemo a identificare l’invito allo «shottino» per un soldo, più o meno camuffato da happy hour o aperitivo. Della vendita di biglietti per locali dove si può bere senza tanti problemi alcuni ragazzi hanno fatto un mestiere, incoraggiati da gestori che puntano su giovanissimi "pierre" per affollare sale e tavoli di loro coetanei incuriositi da una trasgressione facile che dà subito alla testa come alcol dozzinale.
Se in questo fenomeno carsico eppure ben conosciuto dai ragazzi la complicità colpevole di chi campa sull’allegria artificiale dei minorenni è palese (e potenzialmente criminale: il coma etilico è appena un passo prima della tragedia), uno sguardo meno sbrigativo non tarda a cogliere la responsabilità ben più vasta del mondo adulto, che sembra non volersi più sentire responsabile dei "figli di tutti", come per una rinuncia al proprio ruolo sociale, considerando forse già sufficientemente gravoso quello "privato". Si è come dissolto quello sguardo educativo dell’adulto che sa di dover essere un riferimento per le generazioni che la società tutta – e non solo la propria famiglia – sta crescendo, dentro una comunità che non è riducibile alla combinazione aritmetica di individui che si limitano a coabitare con altri nello stesso spazio, e ognuno badi a se stesso. Sentirsi padri e madri, fratelli e sorelle anche del figlio del prossimo ha a che fare col rilievo pubblico che ha il desiderio umano di generare vita, di tutelarla quando è più fragile, di stendere sui figli una mano discreta ma ferma che sa indicare una strada, protegge senza imporre, si offre per accompagnare chi non ce la fa, fosse pure la prima volta che lo incontro.
Se quella mano rimane in tasca, nel gesto ignavo di chi ha rinunciato a sentirsi educatore, il recinto dei nostri figli si spalanca al predatore di passaggio. Che magari versa vodka, un euro al bicchiere, fin quasi a farne morire.