L’idea era venuta col terremoto dell’Aquila, ed era già un’idea brutta che aveva provocato disgusto. Far soldi incrementando il gioco d’azzardo, messo in mano ai privati, per spremer qualcosa da questi profitti apparentemente facili, era sembrato a moltissimi un vergognoso e complice favore alla malizia che spenna i polli. Da ieri quel progetto è divenuto realtà, il gioco d’azzardo entra liberamente nelle case attraverso internet, il casinò online ci viene a trovare, e non per finta ma in modo interattivo, e si giocano soldi veri, non gettoni, fino a mille euro a sessione. È la «liberalizzazione», dicono. Già, sembra una parola magica, va bene per tutto; anche per le libere volpi in liberi pollai.Ma non siamo polli, siamo uomini. Non ce n’era abbastanza di gioco d’azzardo e di scommesse e di puntate e di lotterie e di gratta e vinci e di altre diavolerie (50 miliardi di euro all’anno, una follia), per aprire il portone al dilagare della privata concorrenza? Così si consegnano i fragili all’adescamento infinito, fin dentro casa; ai rischi della dipendenza dal gioco, e delle patologie compulsive note da sempre, si accoppia l’altra dipendenza da web, sulla quale hanno levato l’allarme studi recenti. Stipendi interi in fumo, famiglie angosciate. I soldi che si fanno sulla rovina dei disperati sono sporchi, sono turpi. E a che serve allora l’Antimafia, quando pur dice che il gioco d’azzardo è un settore dove tipicamente si allunga l’ombra della criminalità organizzata?Questa decisione è un delitto contro i poveri, perché sono i poveri che più degli altri restano presi al laccio, nella trappola che li brucia; la statistica sovrappone i territori del gioco ai territori del disagio sociale. E il disagio ne viene inasprito.Qualcuno dirà che il web è globale, e se si fa altrove si deve lasciar fare anche qui. Qualcuno dirà che se siamo in Europa liberalizzare tutto ci è imposto dal Trattato Ue. Errore. Il Trattato non dice così. Anzi, è proprio la Corte di giustizia europea a darci con le sue sentenze, nell’arco di un decennio, la lettura del fenomeno economico "gioco d’azzardo" dentro l’articolo 49 del Trattato. Alcune pronunce basilari sono state rese proprio verso l’Italia (causa Gambelli, novembre 2003; causa Placanica, marzo 2007); e poi verso il Portogallo (settembre 2008), la Germania (settembre 2010), l’Olanda; e l’ultima verso la Francia, pochi giorni fa (30 giugno 2011). E in tutte la Corte ha ripetuto che sono possibili le limitazioni, non necessariamente uniformi tra i Paesi membri, giustificate per «ragioni imperative di interesse generale» (citando espressamente la protezione dei consumatori dalla dipendenza, i rischi di frode e di disordine sociale, la lotta alla delinquenza).Quando a chiedere libertà è l’idolo del mercato che non bada alle sue vittime sacrificali, c’è una sottile menzogna, c’è l’abbandono degli uomini fragili al cappio preparato dai furbi. Questo avalla la Corte. E aggiunge anche un monito che fa drizzare le orecchie: dice che lo Stato dev’essere coerente, e se gli obiettivi che gli permettono di far legge sull’azzardo sono la tutela dei cittadini dai suoi effetti devastanti e la lotta al disordine sociale, questi obiettivi devono essere veri e non bugiardi. Vale a dire che lo Stato dev’essere un pulpito credibile, per fare la predica; e credibile non è quando tollera politiche che incoraggiano la partecipazione al gioco (sentenza del 2010 citata).Per l’Italia, il cedimento di oggi sembra l’epilogo di una lunga vergogna. Ma perché non si ravvede? O perché non promuoviamo, tutti, uno "sciopero del gioco"? Saremo liberi, liberi noi stavolta.