Oggi pomeriggio Benedetto XVI sarà a Yaoundé, capitale del Camerun, inaugurando così il suo primo viaggio, dall’inizio del ministero petrino, in terra africana. Joseph Ratzinger, allora cardinale, si era già recato nel 1987 per un convegno a Kinshasa, allora capitale dell’ex Zaire. Non poteva immaginare che sarebbe tornato un giorno nel continente come successore di Pietro, per una missione apostolica sulla scia dei suo predecessori, in vista soprattutto della seconda Assemblea speciale del Sinodo per l’Africa, che si terrà a Roma nell’ottobre di quest’anno. Assise episcopali che dovranno affrontare le grandi questioni della riconciliazione, della giustizia e della pace nel contesto globale dell’evangelizzazione di un continente grande tre volte l’Europa. Ed è proprio dentro questa cornice 'missionaria' che si colloca il viaggio papale, con l’intento d’infondere speranza alle giovani Chiese impegnate in un’ormai matura azione evangelizzatrice, essendo terminata la stagione delle tutele. Proprio come ebbe a dire Paolo VI il 31 agosto del 1969 quando a Kampala (Uganda) gridò: 'Voi africani siete ormai i missionari di voi stessi'. Allora sembrava uno slogan azzardato ed invece si rivelò un’indicazione profetica: sono passati quarant’anni e oggi nessuno più dubita che l’iniziativa missionaria 'ad gentes' sta passando dalle antiche alle giovani Chiese. Seppure non possiamo trascurare che un numero elevato di sacerdoti, religiosi, religiose e laici d’Europa (e d’Italia) restino attori importanti della causa del Vangelo, talora con il sacrificio della propria vita. Nel frattempo, facce d’Africa hanno cominciato a servire la Chiese antiche in una logica dello scambio di doni. L’Africa dispone attualmente di vescovi di grande spessore intellettuale, molti dei quali hanno dato ripetutamente prova di coraggio nel testimoniare il Vangelo in circostanze estreme. L’itinerario papale, anche se prevede due sole soste (oltre a Yaoundé, Benedetto XVI visiterà la capitale angolana, Luanda) vuol essere, come ha detto domenica scorsa all’Angelus lo stesso Pontefice, un pellegrinaggio che abbracci simbolicamente tutta l’Africa: «Le sue mille differenze e la sua profonda anima religiosa; le sue antiche culture e il suo faticoso cammino di sviluppo e di riconciliazione, i suoi gravi problemi, le sue dolorose ferite e le sue enormi potenzialità e speranze». Il programma prevede in Camerun la consegna all’episcopato africano dell’Instrumentum Laboris sinodale, mentre la visita in Angola sarà l’occasione per celebrare solennemente il 500° anniversario di evangelizzazione di quel Paese. «Parto per l’Africa – ha spiegato il Papa ai fedeli e pellegrini a Piazza San Pietro – con la consapevolezza di non avere altro da proporre e donare a quanti incontrerò, se non Cristo e la Buona Novella della sua croce, mistero di amore supremo, di amore divino che vince ogni umana resistenza e rende possibile persino il perdono e l’amore per i nemici». Viene spontaneo chiedersi quale Africa davvero incontrerà Benedetto XVI. Avrà di fronte anzitutto un continente che avverte l’esigenza di coniugare spirito e vita, affermando il primato della persona umana sugli interessi di parte. Un’Africa che deve ancora conquistare il suo spazio ai tavoli attorno ai quali si decidono i destini di un mondo caratterizzato da forti sperequazioni.Dai disastri di una globalizzazione selvaggia che ha generato i cosiddetti 'naufraghi dello sviluppo', alle situazioni di grave conflittualità per il controllo delle immense risorse minerarie e le preziosissime fonti energetiche, petrolio in primis. Eppure, come spiega con lucidità e schiettezza lo scrittore nigeriano Chinua Achebe, «anche il leone deve avere chi racconta la sua storia. Non solo il cacciatore». Un detto ancestrale che evoca l’istanza di guardare all’Africa senza pregiudizi e stereotipi, andando al di là di una visione paternalistica, ammantata di carità pelosa. Insomma quello che accoglie a braccia aperte il Pontefice è un continente che vuole imprimere, soprattutto attraverso la società civile, un deciso cambiamento di rotta al proprio destino. Un’efficace risposta risiede nel rinnovato impegno delle comunità a metabolizzare maggiormente il Vangelo attraverso un’inculturazione capace d’infondere la 'parresia' dei tempi difficili. Parresia intesa come coraggio di osare: la coraggiosa franchezza di dire e testimoniare fattivamente nel nome di Dio il vero, il buono, il bello, per criticare l’ingiustizia, la mancanza di solidarietà, l’odio, la guerra, le situazioni di fame e di disagio, finché l’egoismo umano farà sentire il suo pungiglione e il suo morso. Raymond-Maria Tchidimbo, arcivescovo di Conakry scrisse dalla prigione: «Il cristianesimo africano è soprattutto una religione del futuro. In questo giace il segreto della sua eterna giovinezza».