La storia sfuma in leggenda. O, forse, viceversa. Il castello, le botole, la sala torture, i baldacchini, i camini quasi a tutta parete. Gradara, la Rocca e quasi il cielo sotto. Il camerino che fu preparato per Lucrezia Borgia. Le scale, i camminamenti, l’odore della pietra. Sbarre antiche, paesaggi rimasti uguali. Ieri che sembra affacciarsi adesso. Eppure tutto, ogni passo, è prologo. Finché non si arriva ed entra in quella stanza. Sì, l’arredamento non è quello originale, lo stesso meraviglioso vestito che accoglie è un dono della stilista Alberta Ferretti e riproduce quello che Elenora Duse indossò nella “Francesca da Rimini” di Gabriele D’Annunzio. La vicenda stessa di Paolo e Francesca nella realtà non è poi romantica quanto quella tramandata nel quinto canto del suo Inferno da Dante prima e poi da Boccaccio nel suo commento alla Divina Commedia.
No, non importa. Quella è la stanza dove si diedero un «casto bacio». Dove Giangiotto, marito di lei (che l'aveva sposato dopo essere stata tragicamente ingannata) e fratello di Paolo, li passò a fil di spada un giorno del settembre 1289. Non importa la verità storica, se ci si affaccia in una specie di sogno scoperto sui banchi di scuola. Se in quella stanza quasi si trattiene il respiro, si cammina in punta di piedi. Mentre tornano in mente le parole di Dante, quando incontra la donna: «E cominciai: “Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio”». Il suo «amor, ch’a nullo amato amar perdona». Poi Dante stesso che infine, colpito, turbato, cade per l’emozione: «Mentre che l’uno spirto questo disse, l’altro piangea; sì che di pietade io venni men così com’io morisse». Ed è vero che destina all’inferno le anime di Francesca e Paolo, però lasciando che vaghino insieme, così, almeno, da non dover patire la solitudine eterna.
Fuori, usciti, il fossato, altra storia da scoprire, un borgo piccolo e ufficialmente tra «i più belli d’Italia» (in provincia di Pesaro Urbino), negozietti di mille souvenir che ricordano i due amanti o tempi assai lontani. Mentre risuonano ancora parole di quel quinto canto: «Poeta - è Dante che si rivolge a Virgilio - volontieri parlerei a quei due che ’nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri».