Dani Dayan, presidente dello Yad Vashem, durante la cerimonia dello scambio dei doni dopo l'udienza in Vaticano da papa Francesco - Ansa
"Quello che sta succedendo in questi giorni in Europa ci riporta ai tempi bui della Seconda guerra mondiale, quando Kiev, Leopoli e Janowski, divennero i luoghi dei campi di concentramento." Sono queste le parole di Dani Dayan, presidente dello Yad Vashem, il Memoriale Internazionale della Shoah, che spiega perché "fin dai primi giorni dell'invasione dell'esercito russo in Ucraina, abbiamo immediatamente condannato le atrocità compiute e, purtroppo, ancora in corso. Tuttavia - continua Dayan - è importante distinguere dal punto di vista epistemologico che non ogni genocidio è una guerra e non ogni guerra è un genocidio. Invece, da entrambi le parti di questo conflitto, è stato fatto un uso propagandistico di una terminologia che appartiene, esclusivamente, alla Shoah e ai 6 milioni di ebrei a cui venne sottratta la vita. Questo tipo di strumentalizzazione non è solo sbagliato dal punto di vista storico ma anche pericoloso sul piano quotidiano. E a noi spetta condannare anche questo".
Il ruolo di Israele come Paese mediatore nella risoluzione del conflitto russo-ucraino è stato anche uno dei temi principali affrontati lo scorso 14 giugno nel corso del primo viaggio diplomatico del premier italiano a Gerusalemme che, ancor prima di incontrare il capo del governo israeliano ancora in carica Naftali Bennett, si è recato proprio a Yad Vashem.
Quale è stato il fulcro di questo incontro?
Si trattava della prima visita nel nostro Museo da parte di Mario Draghi, che abbiamo accompagnato lungo il percorso della memoria. Ne è rimasto impressionato e commosso e ha rimarcato il ruolo cruciale della nostra istituzione nel testimoniare gli orrori dell'Olocausto, impegnandosi in prima persona a promuovere progetti di mutua collaborazione.
Di quali progetti si tratta?
In occasione della mia recente visita al Vaticano di due settimane fa, per quanto riguarda l'Italia ho approfittato per incontrare il Ministro dell'Istruzione italiano Patrizio Bianchi, con cui abbiamo già concordato di promuovere iniziative per divulgare un messaggio che investa le scelte e la quotidianità dei giovani. Sono loro il nostro passaggio del testimone verso il futuro, affinché, oltre a condannare l'antisemitismo, si possa prevenire qualunque forma di odio, attraverso uno studio ed una pratica, quotidiana, del significato della memoria. Proprio per questo, in questi giorni così difficili per l'Europa e per il mondo, per un'istituzione come la nostra è stato di importanza fondamentale il colloquio con il Pontefice.
Quale è stato l'insegnamento più importante tratto da questa esperienza?
Si è trattato di uno scambio cruciale per rimarcare il continuo impegno da parte della Santa Sede e il Memoriale della Shoah nella lotta all'antisemitismo e la promozione e la divulgazione di una cultura di pace. Incontrare il Santo Padre è stato un momento estremamente emozionante. Assieme abbiamo rimarcato l'impegno da entrambe le parti nel preservare la memoria e la giustizia storica, unico antidoto per impedire che gli errori del passato si possano ripetere nel futuro.