Il popolo repubblicano ha occupato per tre giorni il centro congressi di Kansas City,in Missouri: le molte anime del partito si sono scontratesui temi chiave della campagna. Nonostantele divisioni anche profonde, a prevalere è il candidato unico Donald Trump - Archivio
La mattina dei caucus che avrebbero eletto i delegati del partito repubblicano in Missouri, l’aspirante segretario di Stato ha postato su X un video in cui brucia dei libri sull’educazione sessuale. Il giorno prima una manciata di senatori statali del Grand old party erano riusciti ad eliminare le eccezioni per stupro e incesto dal divieto quasi totale all’aborto del Missouri. Intanto l’ala di destra del Gop locale, il Freedom Caucus, stava spingendo un emendamento costituzionale che renderebbe più difficile indire referendum d’iniziativa popolare.
Il voto in Missouri
Il Missouri è rimasto per molto tempo uno Stato pendolo alle elezioni presidenziali, oscillando nelle sue preferenze fra candidati repubblicani e democratici. Da quando Donald Trump è sceso in campo nel 2016, però, si è schierato solidamente con lui. E non perché lo Stato sia diventato improvvisamente più conservatore, o politicamente più omogeneo.
Le vivaci riunioni degli iscritti al partito repubblicano nello Stato nel Midwest non mettono infatti in mostra un partito compatto, quanto una compagine dalle varie identità, spesso in disaccordo. Ma fra scontri e litigi, le sue anime principali, per motivi diversi, hanno finito per convergere sulla scelta di Donald Trump come inevitabile salvezza del loro partito.
Nel giro di due ore dall’inizio della riunione nel centro congressi di Kansas City, l’ala più estremista del Gop, i Freedom Caucus, aveva già paralizzato i lavori. Esigeva che i futuri delegati sottoscrivessero una piattaforma di «priorità», fatta di divieto di qualsiasi compromesso con i democratici, fedeltà totale a Trump, rifiuto di ogni riforma sull’immigrazione e assoluta rigidità sul debito pubblico. Il resto del partito ha respinto il ricatto e la giornata si è conclusa con poco di fatto.
Le cinque categorie dei trumpiani
I volti all’uscita erano cupi e irritati, il silenzio rotto soltanto da qualche grido isolato: «Trump, Trump», o «Make America great again». Ma qualche chiacchierata permetteva di individuare almeno cinque categorie, che per molti aspetti riflettono la frammentazione dei repubblicani a livello nazionale.
Ci sono i moderati, che sui temi sociali come l’aborto, la famiglia e l’immigrazione hanno tendenze progressiste e tendono ad essere benestanti e laureati. È l’unico gruppo (ed è minoritario) apertamente contro Trump.
Seguono i conservatori tradizionali alla Reagan, un gruppo leggermente più folto, che si oppongono all’aborto e difendono il libero mercato e i tagli alle tasse. Non amano Trump, ma possono votarlo per convenienza politica. Sono favorevoli agli aiuti all’Ucraina e a gestire, non fermare, i flussi d’immigrazione, consapevoli che il Paese ne ha bisogno.
I delegati rappresentanti delle tute blu tendono ad essere populisti e trumpiani. Sono anche bianchi, ostili agli immigrati e alle leggi che favoriscono neri, ispanici e tutte le minoranze. Molto conservatori su questioni economiche e razziali, sono sorprendentemente moderati su aborto e matrimonio gay.
Si arriva poi alla destra, lo zoccolo duro di Trump, convinto, sulla scia del suo beniamino, che l’America sia sull’orlo della catastrofe e che vada salvata con metodi radicali. E infine i libertari, altra minoranza, la cui la priorità è un governo meno invadente possibile e isolazionista in politica estera. Non amano Trump ma in parte lo sostengono perché vuole ridurre la burocrazia statale e non immischiarsi in Ucraina o in Medio Oriente.
L'alleanza (a volte) scomoda e la colla del malcontento
Il dominio di Trump sul partito repubblicano, del Missouri come del resto degli Stati Uniti, si fonda dunque su un’alleanza a volte scomoda e spesso tesa che raccoglie elettori all’interno di quattro di questi gruppi. Ed è, secondo molti osservatori di politica americana, una novità. Prima di Trump, infatti, la corrente principale del partito repubblicano, determinante nella scelta dei candidati alla Casa Bianca, era composta dai conservatori tradizionali, dalla fazione moderata e da una parte dei colletti blu che Reagan aveva sottratto ai democratici. Ora invece l’alleanza è tra classe rurale, operaia e l’ala più estremista. La colla che li unisce? Una visione profondamente pessimistica del futuro dell’America, compreso il timore del calo della quota bianca della popolazione. «Siamo già nel mezzo di una guerra civile – dice Ted King, che vive a Gower, cittadina povera e isolata nella campagna come molte del Midwest – se i democratici mantengono il potere, l’America che amiamo morirà. Solo Trump ci può salvare». King, che ha 56 anni, ha votato due volte per Barack Obama e si è sempre considerato un indipendente. Fino al 2020. «Poi i democratici hanno rubato le elezioni perché hanno capito che Trump avrebbe sfasciato il loro metodo elitario di controllo del Paese».
Rompere tutto per ricostruire l'America che vogliono
Le anime populista e di estrema destra del partito repubblicano sembrano avere in comune proprio questo desiderio di “fratturare il sistema”. Di rompere tutto per costruire l’America che vogliono, che assomiglia a una versione idealizzata dell’America degli anni Ottanta, o persino Sessanta, con famiglie intatte, meno immigrati, più bianchi, e lavori che permettano di mantenere uno stile di vita da classe media. Per questo non temono il desiderio di vendetta con il quale Trump si presenta alle elezioni. Rick Brattin, senatore statale del Missouri, è convinto ad esempio che sia necessario «smascherare lo Stato profondo, riformare profondamente la magistratura», insomma, «fare a pezzi il Paese» per ripartire da zero. Se gli si fa notare che non sarà facile per un partito così fratturato ricostruire le istituzioni americane, risponde che almeno sono quasi tutti d’accordo che Trump deve tornare alla Casa Bianca.
Trump? «Sessista, dice cose sgradevoli. Ma lotta per la nostra causa»
Non è che la maggior parte dei repubblicani considerino Trump perfetto, intendiamoci. Brattin, King, e la stessa Valentina Gomez, la candidata che ha carbonizzato una pila di libri con un lanciafiamme, ne riconoscono i difetti. È sessista. È arrogante, fa e dice cose sgradevoli. Ma in molti sono disposti a mettere da parte il suo comportamento perché è un «combattente» per la loro causa, quella di liberarli dalla minaccia della sinistra e di salvare i conservatori dall’estinzione. Se la minaccia è veramente esistenziale, richiede che gli americani patriottici stiano con Trump, indipendentemente dalle sue violazioni etiche.
I verdetti contro di lui? «Ingiusti»
Quanto alle sue trasgressioni più gravi, molti le negano. I verdetti contro di lui sono ingiusti; i tentativi di impeachment sono faziosi e le indagini su di lui sono cacce alle streghe. Come spiega King: «Qualunque prova trovino i procuratori, le loro accuse saranno per definizione ingiustificate». Queste opinioni prendono spunto dallo stesso Trump, che a partire dalla sua prima campagna elettorale, passando per il suo discorso d’inaugurazione del 2017, fino a queste ultime settimane, continua ad affermare che i democratici sono responsabili di «sangue, morte e sofferenza su scala impensabile» e che «il nostro Paese sta andando all’inferno».
Non tutti i repubblicani sono così catastrofici. Nel centro congressi di Kansas City alla fine sono stati eletti anche delegati moderati che non considerano i democratici diabolici e sono convinti che si debba lavorare con loro per ottenere riforme sull’immigrazione, la spesa pubblica e il controllo dell’intelligenza artificiale. Ma sono una minoranza. E, in fondo, anche loro sono rassegnati a nominare Donald Trump come l’unico candidato che possa riportare il partito alla Casa Bianca nel gennaio 2025.