Nel villaggio di Vilkhivka, a venti chilometri dal confine russo, la scuola devastata dai bombardamenti - Gambassi
«Non avrei mai creduto che ci avrebbero fatto questo». Irina annoda l’ennesima striscia di stoffa verde su una rete a forma di passamontagna. Sta preparando un copricapo mimetico per l’esercito. E quando parla al plurale, si riferisce all’ingombrante vicino che si è trasformato in nemico: il popolo russo. È a venti chilometri il confine con la regione di Belgorod da cui continuano a partire i missili che arrivano sull’oblast di Kharkiv che prende il nome dalla seconda città dell’Ucraina distante quindici chilometri. Irina, come altre 1.300 irriducibili, è tornata a Vilkhivka, uno dei primi villaggi che le truppe di Mosca hanno invaso un anno fa subito dopo aver varcato la frontiera. In 2.600 lo abitavano prima della guerra.
Le donne del villaggio di Vilkhivka impegnate a realizzare abbigliamento mimetico per l'esercito ucraino - Gambassi
«Siamo due popoli diversi ma comunque amici», ripete Irina. È ben consapevole che il vocabolo “amici” è impegnativo. «Per anni abbiamo vissuto gli uni accanto agli altri. I russi venivano qui e noi andavamo da loro. Abbiamo parenti e conoscenti dall’altra parte. C’è chi ha trovato la moglie o il marito in Russia. Ma noi siamo ucraini, non russi. Poi la propaganda li ha trasformati in zombi. E tutto è cambiato», spiega Olga, anche lei impegnata ad assemblare reti verde-militare per coprire carri armati e blindati. L’appuntamento è ogni pomeriggio nell’ex dependance del municipio che è diventata uno dei “punti di invincibilità” della zona, i rifugi dove trovare energia elettrica, riscaldamento e connessione a Internet in caso di attacchi. I vetri alle finestre sono stati sostituiti da assi di legno e teloni di nailon blu delle Nazioni Unite.
Nel villaggio di Vilkhivka, a venti chilometri dal confine russo, la scuola devastata dai bombardamenti - Gambassi
La scuola dall’altra parte della strada racconta la guerra che ha travolto il villaggio: è un cratere dietro l’altro. «Distrutta dai carri armati che ci hanno tenuti sotto assedio», dice Olga. È uno dei 59 residenti che hanno trovato la forza e il coraggio di restare nell’agglomerato durante i ventisette giorni di occupazione. Giorni di terrore e di morte. Dalla borsa tira fuori il cellulare e dà il via ad alcuni video. Mostrano cadaveri ai lati dell’asfalto, raid a ripetizione, case avvolte dalle fiamme dopo essere state bombardate. «I soldati uccidevano per strada», ripercorre. Nessuno sa di preciso quanti siano i «morti dei russi», come li chiamano qui. Ma i filmati fanno di Vilkhivka una sorta di piccola Bucha alle porte di Kharkiv. Com’è accaduto nella cittadina intorno a Kiev rimasta in mano russa per un mese che è stata devastata e riempita di salme, il villaggio a metà strada fra l’ex capitale dell’Ucraina e il confine russo è stata per settimane un cimitero a cielo aperto.
Le case devastate dagli attacchi delle truppe di Mosca nel villaggio di Vilkhivka, a venti chilometri dal confine russo - Gambassi
«Almeno trenta nostri concittadini sono stati assassinati mentre erano in giro. Tutti uomini. Fra loro un ragazzo di quattordici anni. I corpi sono stati abbandonati per giorni in diversi angoli del paese», riferisce Olga. E racconta di aver assistito dal suo seminterrato a un’esecuzione a freddo fra le case sparse. «Un padre con il figlio era in auto. I soldati li hanno presi di mira. I due hanno provato a fuggire, ma appena scesi sono stati freddati». Lei è rimasta sottoterra per un mese. «Eravamo insieme ai nostri maiali e alle capre. Soprattutto nelle venti ore consecutive di bombardamenti. Usavamo la loro acqua, quella degli animali, per sopravvivere. E per sei mesi non abbiamo avuto l’energia elettrica».
Le case devastate dagli attacchi delle truppe di Mosca nel villaggio di Vilkhivka, a venti chilometri dal confine russo - Gambassi
È una comunità ferita Vilkhivka dove, a differenza di Bucha, i segni della ricostruzione mancano del tutto. Vuoi per la prossimità al Paese che li ha aggrediti; vuoi per i missili che non si fermano. «Abbiamo paura sicuramente. Sentiamo il fiato sul collo dell’esercito di Mosca», aggiunge Natalia mentre taglia le strisce di tessuto per «aiutare i militari». Però chi si era costruito qui una famiglia è tornato, nonostante le quasi duecento abitazioni completamente rase al suolo a cui si aggiungono decine e decine di edifici danneggiati. «Lavoro a Kharkiv. Faccio avanti e indietro ma almeno sono a casa mia. Vale lo stesso per mio marito», confida Irina. Lungo le strade restano ancora le carcasse dei tank russi o delle auto requisite e marchiate con la “Z” putiniana. «Non sapevamo neppure che cosa significasse la “Z” prima dello scorso anno», sostiene Natalia.
Le donne del villaggio di Vilkhivka impegnate a realizzare abbigliamento mimetico per l'esercito ucraino - Gambassi
Nel salone pubblico si trascorrono le ore a realizzare i teloni mimetici. «Abbiamo già portato in trincea oltre duemila metri di copertura», dice orgoglioso Victor che coordina il laboratorio amatoriale. Un hub nato non tanto per riempire il tempo, quanto per rispondere alla voglia di contribuire alla difesa del Paese anche dal basso. «Attendiamo la controffensiva - dicono all’unisono le donne di Vilkhivka -. Speriamo sia l’ultimo atto di un conflitto tremendo».