Più che un mantra, un martello percussore. La promessa fatta all'inizio della campagna per il voto di midterm di martedì di puntare tutto sulla questione migranti per mantenere la maggioranza a Camera e Senato, Donald Trump la sta mantenendo. Ieri ha detto che se i 15mila soldati (che promette di schierare al confine del Messico ma che di fatto restano per il momento solo l'ennesimo proclama) saranno colp0iti da sassi potrebbero rispondere agli attacchi. Con che cosa non l'ha detto, anche se tutti i militari saranno chiaramente armati. Poi ha rincarato la dose. "Le donne non vogliono i migranti della Carovana in America, le donne vogliono sicurezza, vogliono stare sicure": ha tuonato in uno dei suoi appelli che stanno caratterizzando il rush finale della campagna elettorale per le elezioni di medio termine del 6 novembre. "I democratici vogliono confini aperti, ma noi non lo permetteremo", ha affermato durante un comizio in Missouri. E sui social ricordano quando il tycoon definì i messicani "stupratori".
Ma più che una Carovana ormai è una valanga. Tre Carovane dall’America Centrale sono dirette a Nord, “l’Eldorado Usa”. Non inseguono, però, il sogno americano. Sfuggono alla violenza del più cruente pezzo di pianeta. Lo fanno da anni, con crescente frequenza. Stavolta hanno deciso di farlo insieme, alla luce del sole, per non cadere vittime dai narcos attraverso il Messico. O subire gli abusi delle autorità corrotte. Così, al primo gruppo, partito il 13 ottobre dall’honduregna San Pedro Sula, il 13 ottobre, se ne sono aggiunti altri due. La seconda Carovana, di 2mila persone, è a Huxtla, in Chiapas. L’ultima, di un migliaio di profughi, è entrata in Guatemala. La principale è al limite dello Stato messicano dell’Oaxaca. È il gruppo più numeroso: oltre 9mila persone. A cui, da due giorni, si è aggiunta la piccola Lupe, la prima “figlia della Carovana”. È nata mercoledì sera a Juchitán, in anticipo di due settimane. I genitori, i guatemaltechi Olga Suraya e Adrián Vázquez, l’hanno chiamata Guadalupe, in onore della Vergine di Tepeyac. Mentre la famiglia s’è fermata qualche giorno per riprendere le forte, il resto s’è rimesso in marcia.
A piedi. Eppure, Chiese e attivisti avevano predisposto 70 bus per trasportare i profughi. «La polizia federale, però, ha bloccato i mezzi. Per questo, abbiamo modificato il percorso. La strada per Oaxaca è troppo scoscesa per i bambini, che sono oltre 2mila. Siamo stati costretti a deviare verso est», spiega Rodrigo Abeja, di Pueblos sin fronteras. La Carovana attraverserà, dunque, lo Stato del Veracruz, in gran parte sotto il controllo della criminalità organizzata. «Ma non hanno intenzione di fermarsi. Non hanno scelta. Per questo chiediamo a Onu, Ue e comunità internazionale di mobilitarsi», afferma Elkin Mejia, honduregno esule in Svezia, che cerca di rilanciare la voce della Carovana in Europa. Eppure, a quattro giorni dal voto di midterm, Donald Trump non smette di tuonare contro gli immigrati. Ieri – dopo aver imposto nuove sanzioni al Venezuela –, il presidente ha annunciato per la settimana prossima un ordine esecutivo in cui ci sarà una stretta sul diritto d’asilo. Per fare richiesta – ha precisato – gli immigrati dovranno raggiungere gli Usa, mentre le autorità esamineranno le richieste, genitori e figli saranno tenuti in tendopoli ad hoc. Trump ha, infine, ribadito la necessità di «un muro umano» – i 5.200 soldati da schierare – per «fermare l’invasione».