Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, alla Casa Bianca - Reuters
«Ordinato, sicuro e umano». Sono i tre aggettivi impiegati dal presidente Joe Biden per il nuovo piano migratorio presentato ieri alla Casa Bianca. Un pacchetto di «misure senza precedenti», l’hanno definito i democratici. In realtà, il presidente Usa ha cercato di utilizzare a proprio vantaggio la battaglia con i repubblicani sul Titolo 42, l’ordine che, da quasi tre anni, blinda la frontiera con il Messico anche per i richiedenti asilo per «ragioni sanitarie».
Dopo avere cercato più volte di revocarlo ed essere stato messo all’angolo dalla Corte Suprema, che ha dato ragione ai conservatori, Biden ha optato per rilanciare. Promettendo, da una parte, nuove vie di migrazione legale, soprattutto per chi viene da Cuba, Nicaragua e Haiti. Dall’altra ha utilizzato il Titolo 42 per rendere più rapide le espulsioni di chi attraversa il confine irregolarmente.
Una sorta di bastone e carota per cercare di risolvere il caos alla frontiera, che va avanti da anni a causa de moltiplicarsi delle crisi in America Latina e che, come previsto, si è riacuito con la fine della pandemia. Ogni giorno vengono fermati, in media, novemila migranti colti nell’intento di oltrepassare il Rio Bravo, per un totale di 2,2 milioni nell’ultimo anno fiscale, il record dal 2010. Grazie al Titolo 42 la gran parte viene rispedita indietro, dall’altro lato del confine, creando un vero e proprio collo di bottiglia.
Decine di migliaia di persone attendono da settimane o mesi lungo La Linea – i tremila chilometri a cavallo tra Usa e Messico –, accampati in tendopoli di fortuna in attesa del momento buono per riprovare o dell’eliminazione del divieto di entrata. Una situazione più volte denunciata da attivisti e difensori per i diritti umani. E utilizzata dall’ala dura dei repubblicani per attaccare l’Amministrazione e cavalcare il leitmotiv «dell’invasione».
Ora, dopo il Midterm, Biden ha voluto prendere di petto la questione. Da qui la scelta di recarsi a El Paso domenica, epicentro della crisi migratoria, con i rifugi al collasso, tanto da far dichiarare al sindaco democratico, Oscar Leeser, lo stato di emergenza nell’ultima settimana di dicembre. Finora il presidente aveva sempre rifiutato di cedere alle richieste dei conservatori di andare al confine per «evitare show mediatici». Stavolta, invece, ha colto l’occasione del summit dei leader del Nord America, in programma lunedì e martedì a Città del Messico, per fare tappa nella cittadina texana dove tornerà sulla questione della sicurezza. Tema che sarà anche tra le priorità del vertice di Città del Messico.
Il grosso del pacchetto di misure, però, è stato già anticipato dallo stesso presidente. Viene estesa anche a nicaraguensi, cubani e haitiani, l’agevolazione per i venezuelani. Ovvero la possibilità di un terzo, radicato negli Stati Uniti, di presentare richiesta di un permesso di lavoro di due anni a nome di un’altra persona delle nazionalità indicate a condizione che dimostri di potersi mantenere e rimangano in patria fino al completamento dell’iter burocratico. Fino a 30mila haitiani, nicaraguensi, cubani e venezuelani al mese saranno accolti in base a questa disposizione.
Al contempo, però, una quota analoga potrà essere spedita immediatamente in Messico – che ha accettato di riceverli – in caso decidesse di migrare in modo irregolare. Chi verrà fermato alla frontiera, inoltre, non potrà entrare nel programma di accoglienza. Washington, infine, ha triplicato il numero di rifugiati latinoamericani per il 2023 e il 2024, portandolo a ventimila. «Queste azioni non risolveranno tutti i problemi del sistema ma possono aiutarci a gestire meglio la sfida». Almeno fino a quando – questo il messaggio al Congresso – i repubblicani non saranno disposti a sostenere la riforma migratoria. Un sogno che Biden accarezza fin dall’era Obama. Quella volta il fronte conservatore riuscì a sbarrargli la strada. Ora inizia la nuova partita.