martedì 5 novembre 2019
Nella 40esima ricorrenza dell’occupazione dell’ambasciata Usa, il regime annuncia massicce violazioni dell’accordo sul nucleare. Trump vara ulteriori sanzioni
Le proteste a Teheran di fronte all’ambasciata americana (Ansa)

Le proteste a Teheran di fronte all’ambasciata americana (Ansa)

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L'Iran riprenderà da domani l'arricchimento dell'uranio nella sua centrale atomica di Fordo, a 180 km a sud di Teheran. Lo ha detto il presidente Hassan Rohani, annunciando stamani un nuovo passo nel disimpegno dall'accordo sul nucleare del 2015, alla scadenza del quarto ultimatum ai partner Ue per compensare gli effetti delle sanzioni Usa.

La produzione di uranio a basso arricchimento decuplicata, il numero di centrifughe nucleari avanzate raddoppiato. Nel 40esimo anniversario dell’occupazione dell’ambasciata Usa, dove un gruppo di studenti iraniano tenne in ostaggio 90 persone per 444 giorni, Teheran ha annunciato nuove massicce violazioni dell’accordo sul nucleare, da cui Donald Trump si è ritirato lo scorso anno in modo unilaterale. La Repubblica islamica ha gradualmente ridimensionato gli impegni presi nell’ambito dell’intesa siglata nel 2015 con sei potenze mondiali e l’Unione Europea, dopo che il presidente Usa lo ha dichiarato nullo e ha reintrodotto sanzioni economiche. Le misure statunitensi hanno paralizzato l’economia iraniana, causando il crollo della valuta nazionale e l’aumento dei prezzi, che a loro volta hanno scatenato carenze alimentari e mediche.

Ma proprio in coincidenza con l’anniversario di ieri e con la nuova presa di posizione di Teheran, gli Usa hanno varato nuove sanzioni, per la prima volta colpendo direttamente nove membri dell’entourage della guida suprema Ali Khamenei, che occupano posti in varie istituzioni chiave. «Questa misura riduce ulteriormente la capacità della Guida suprema di mettere in opera la sua politica del terrore e di oppressione», ha dichiarato il se- gretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin. «L’Iran ha aumentato di circa 10 volte, portandola da 450 grammi a 5 chilogrammi, la sua produzione quotidiana di uranio», aveva appena rivelato il capo dell’Organizzazione per l’energia atomica iraniana, Ali Akbar Salehi. Le sue riserve sono così salite a oltre 500 chilogrammi, rispetto al tetto di 300 consentito dall’intesa del 2015. Davanti alle telecamere della tv di stato, Salehi ha poi messo ufficialmente in funzione 30 nuove centrifughe avanzate IR-6 nel sito nucleare di Natanz, raddoppiando così il totale di quelle attive nel Paese. Le centrifughe IR-6 possono produrre uranio arricchito a una velocità 10 volte superiore al modello IR-1 di prima generazione, l’unico ammesso dall’accordo in un massimo di 5.060 esemplari, riducendo così il tempo necessario per produrre l’atomica, che Teheran ha però sempre negato di volere. Gli scienziati iraniani stanno inoltre lavorando a un prototipo di centrifuga ancora più potente, in grado di produrre uranio arricchito a una velocità 50 volte superiore a quella attualmente permessa.

Il nuovo strappo della Repubblica islamica ha suscitato allarmi in tutto il mondo. Teheran si è detta anche pronta a un nuovo disimpegno dall’intesa, atteso forse oggi stesso, dopo che il suo quarto ultimatum di 60 giorni ai partner Ue per compensare gli effetti delle sanzioni americane è andato inascoltato.

Intanto la Casa Bianca resta ferma sulle sua linea dura: in una nota in cui «onora le vittime di quell’atto sfrontato» di 40 anni fa, Trump ammonisce l’Iran che «se non cambierà il suo comportamento ostile, continuerò ad imporre sanzioni devastanti». Dal canto suo, Bruxelles ribadisce la sua «preoccupazione» e sottolinea che il suo sostegno all’intesa dipende «dal pieno rispetto dei suoi impegni da parte dell’Iran». Allo stesso tempo a Teheran i manifestanti innalzavano cartelli che invocavano «morte per l’America» e «morte a Israele», mentre in un discorso davanti all’ex ambasciata Usa il generale Seyyed Abdolrahim Mousavi, comandante dell’esercito, rievocava «uno dei più grandi movimenti nella storia delle rivoluzioni».

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