Lo chiamano «lo Schindler di Kherson». Volodymyr Sahaidak è il direttore di uno dei due centri per minori vulnerabili di Kherson. Ora è il teste chiave nell’accusa a Vladimir Putin per la deportazione dei minori ucraini. Sahaidak è riuscito a salvare tutti i 52 minorenni ospitati nella sua struttura, trascorrendo due mesi ad alto rischio, mettendo a punto stratagemmi per nascondere i ragazzini. Mosca gli dà la caccia e lui riceve continuamente minacce ed avvertimenti.
Lo abbiamo incontrato nella redazione di “Avvenire” nei giorni scorsi, prima che lasciasse l’Italia, dove ha potuto rivedere con la moglie e la figlia i volontari del Gruppo parrocchiale “Ukrainitaly”, della comunità “Visitazione di Maria Vergine” di Cormano, alle porte di Milano, guidati da Andrea Noto che da anni si occupano dell’accoglienza di minori ucraini e iniziative di solidarietà nella regione di Kherson.
Volodymyr Sahaidak (a destra), direttore del centro per minori vulnerabili di Kherson, durante l'intervista nella redazione di Avvenire. Con lui il giornalista Nello Scavo (a sinistra) e Andrea Noto responsabile dell'associazione di Cormano - Avvenire
“Quando i soldati russi - racconta Sahaidak - hanno capito che stavo registrando tutto con le nostre telecamere interne, hanno portato via i computer, i registri, i documenti. Le apparecchiature sono state disattivate e a noi restava pochissimo tempo per impedire che i ragazzi venissero portati via”.